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martedì 10 novembre 2009

Giustizia, intesa nel PdL. No a prescrizione veloce

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L'atteso vertice tra Berlusconi e Fini è durato poco più di due ore. Si è parlato di molte cose anche se il tema più scottante, come noto, era la riforma della giustizia. Dopo il faccia a faccia Berlusconi si è limitato a dire: "E' andata bene". Il presidente della Camera ha aggiunto altri particolari, in un'intervista concessa al direttore di SkyTg24, Emilio Carelli. In particolare Fini ha detto che la prescrizione breve "non è praticabile, perché danneggerebbe i cittadini". Nessuna reazione ufficiale, invece, da parte di Berlusconi. Il premier avrebbe giudicato un passo avanti l’accordo raggiunto per una riduzione dei tempi dei processi.
Disegno di legge
Un’intesa sul processo breve ma non sulla prescrizione e sui reati tributari. Il faccia a faccia tra Berlusconi e Fini fa registrare un primo importante passo avanti. Tra i due leader non c'è intesa su tutto ma è confermata la comune volontà di garantire tempi certi nello svolgimento dei processi. "Nei prossimi giorni - spiega Fini - sarà presentato un disegno di legge di iniziativa parlamentare, quindi senza nessun intervento diretto del governo, per garantire che i tre gradi di giudizio si svolgano in tempi certi, unicamente per gli incensurati, in un tempo massimo di sei anni per arrivare al terzo grado di giudizio".
Niente prescrizione breve
Il presidente della Camera ha poi voluto chiarire che "quella che viene impropriamente chiamata prescrizione breve è un’ipotesi considerata impraticabile da me e Berlusconi, perché danneggerebbe i cittadini". Fini ha escluso anche l’ipotesi di un emendamento sui processi tributari: "Non mi risulta ci siano iniziative di questo genere".
Immunità parlamentare
Riprende corpo, invece, la reintroduzione dell’immunità parlamentare. Una prospettiva, dice ancora Fini, che "non deve destare scandalo", essendo riconosciute le garanzie del vecchio articolo 68 della Costituzione nel parlamento europeo. Certo, ricorda l’ex leader di An "l’immunità non deve essere impunità: si tratta di garantire per il potere legislativo la possibilità che la Costituzione definisce di agire in piena autonomia senza per questo limitare il diritto del potere giudiziario di indagare".
Regionali
Dopo il faccia a faccia - durante il quale si affronta anche il capitolo regionali rinviandone la definizione al prossimo vertice a tre con Umberto Bossi - il premier rientra a Palazzo Chigi con Gianni Letta e cancella l’appuntamento pubblico della tarda mattinata a Milano. Fini si chiude invece nel suo studio con Ignazio La Russa, Giulia Bongiorno e Italo Bocchino. Entrambi i co-fondatori del Pdl tirano le somme, dopo la sfiorata rottura e la faticosa ricerca di una via d’uscita, di una necessaria compattezza da esibire all’esterno.
Durata dei processi
Tempi e modi di presentazione del ddl sul processo in sei anni, annunciato con enfasi da Fini, in realtà sono tutti da definire e c’è chi dal Senato - dove il provvedimento dovrebbe essere incardinato - invita alla cautela sulla rapidità della quale il presidente della Camera si dice certo. "È una questione innegabile, che la durata media dei processi in Italia è troppo lunga - dice Fini ancora a Sky - passano anni e anni per arrivare al terzo grado di giudizio, con lesione del sacrosanto diritto costituzionale dei cittadini di vedersi garantita la giustizia. Che in Italia i processi durino troppo è un problema ben presente in sede europea".
Più risorse a disposizione
Fini e Berlusconi sono dunque "concordi nel dire che il primo dovere del governo è mettere a disposizione cospicue risorse finanziarie" per ridurre il "forte disagio dei tribunali". E Berlusconi - riferisce il presidente della Camera - "ha garantito che in Finanziaria ci saranno stanziamenti per mettere in condizione il sistema giustizia di funzionare". I margini dell’intesa sono questi, al termine del lungo confronto che ha portato all’unico compromesso al momento possibile.
Bersani: "Sì alla riforma"
"Se vogliono migliorare il servizio giustizia siamo qua a dire sì, se vogliono cancellare i processi in corso siamo qua a dire no". Così Pier Luigi Bersani, segretario Pd, risponde ai giornalisti a Montecitorio sul tema delle riforme della giustizia.
Anm: "Intervento organico"
L’Associazione nazionale magistrati ribadisce la necessità di interventi sulla giustizia di "carattere organico e sistematico", e non di interventi che" rischiano di avere un impatto negativo sul processo", ha commentato il presidente dell’Anm Luca Palamara, facendo sapere che "resterà in attesa di conoscere le indicazioni che saranno contenute nei testi". Domani la Giunta dell’Anm si riunirà, infatti, per il consueto incontro settimanale e, nel tardo pomeriggio, una delegazione dei vertici del sindacato delle toghe parteciperà, come già annunciato nei giorni scorsi, a una riunione della Consulta giustizia del Pdl. (il Giornale.it)
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Certo, non è finita proprio come voleva Silvio Berlusconi, ma al Cavaliere poteva andare peggio. Anche se i due si detestano, l’accordo politico con Gianfranco Fini per evitare al premier di subire una condanna di primo grado nel giro di pochi mesi è stato trovato. L’intesa è già definita, almeno quanto basta per presentare in tempi rapidissimi il disegno di legge che il Parlamento dovrà poi approvare a tappe forzate. Non è un caso, comunque, che il cammino del provvedimento inizi al Senato, cioè nella Camera in cui Berlusconi ripone più fiducia, che poi è anche quella non presieduta da Fini. E non è un caso nemmeno che, prima di decidere con l’ex leader di An (e con Umberto Bossi) le candidature per le regionali, il leader del PdL voglia assicurarsi di portare a casa il provvedimento che lo toglie dalle grinfie dei magistrati. Insomma, il rapporto umano tra i due è rovinato e difficilmente potrà essere ricomposto, ma la reciproca convenienza costringe Silvio e Gianfranco ad andare ancora a braccetto. Anche perché il provvedimento sulla giustizia che hanno concordato ieri sarà chiamato a superare diversi scogli, primi tra tutti la guerra aperta dei magistrati e le perplessità del Quirinale. E allora il logoratissimo asse Berlusconi-Fini dovrà reggere ancora una volta. Forse l’ultima. In estrema sintesi, la legge in cantiere prevede per il processo penale una durata massima di sei anni: due per ogni grado di giudizio. Passati due anni senza che sia arrivata la sentenza, il processo si estinguerà e l’imputato non potrà più essere processato per quel reato. Anche se non si tratta della riduzione secca dei tempi di prescrizione, alla quale Fini si è opposto, gli effetti pratici non dovrebbero poi così diversi, almeno nel caso del processo Mills. Per evitare un’amnistia mascherata, il campo d’applicazione della legge è stato ristretto il più possibile: a beneficiarne saranno solo gli incensurati.
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Cappotto sulle spalle, cartellina in mano e, soprattutto, testa bassa. Silvio Berlusconi non ha il volto disteso. E la causa non è la stanchezza accumulata lunedì a Berlino, per le celebrazioni del Ventennale della caduta del Muro. Quando il Cavaliere raggiunge infatti il pian terreno ed esce dall’ascensore, seguito da Gianni Letta e Sestino Giacomoni, è di umore nero. E poco importa se più in là, una volta lasciato Montecitorio, a favore di telecamere dirà che «è andata bene». In realtà, il premier è costretto a fare buon viso a cattivo gioco, abbozzando di nuovo, nel tentativo di capire cosa passi davvero nella mente di Gianfranco Fini. E allora, niente prescrizione, tanto per cominciare: in cambio, un’intesa al ribasso sul processo breve. Un compromesso a cui deve sottostare - «quantomeno per adesso», pronostica un ex azzurro fautore dello scontro aperto e del ritorno alle urne - per evitare di far saltare il banco della maggioranza. Ma è un bicchiere mezzo vuoto, per il Cavaliere, che non nasconde l’amarezza per l’esito del faccia a faccia di due ore: condito, raccontano, da momenti di tensione. Così, al di là delle urla che qualcuno avrebbe sentito al primo piano, Berlusconi si limita a riferire che «il provvedimento» allo studio «verrà presentato subito al Senato». Avverrà oggi, con molta probabilità, per venire approvato magari entro Natale. Partirà quindi da Palazzo Madama il disegno di legge (non si sa ancora se lo firmeranno i capigruppo o tutti i senatori Pdl), nonostante Berlusconi abbia chiesto a Fini di «intestarsi» il provvedimento, in modo da figurare come «garante» e stoppare ulteriori polemiche. Un «niet» che contribuisce non poco a far montare la rabbia del presidente del Consiglio, che sbotta più volte durante l’incontro mattutino. Anche quando Fini gli ricorda - prendendo spunto dalle carenze lamentate da alcune procure - che i problemi di giustizia non riguardano solo lui. Detto questo, ci saranno nuove risorse in Finanziaria per il settore, garantisce Berlusconi e annuncia Fini, anche se non interventi a pioggia. In definitiva, tanto per capirci, il Cavaliere non la prende bene. E rimane dentro di sé deluso per la mancata «totale solidarietà» che si sarebbe aspettato dal co-fondatore del Pdl: è questo, d’altronde, lo sfogo che riserva nei colloqui con i suoi. Ma è una partita non del tutto aperta. E non solo perché sullo sfondo rimane sempre l’ipotesi di reintrodurre l’istituto dell’immunità parlamentare. «Uno strumento già introdotto nella Carta dai padri costituenti», è il ritornello degli ultimi giorni che circola nel Pdl sponda Forza Italia, poi cancellato per via di Tangentopoli. E allora, «torniamoci davvero alla Costituzione», rilanciano da Palazzo Grazioli, visto che in origine non fu pensato come un privilegio, ma perché «garanzia di libertà degli eletti rispetto alla corporazione dei magistrati». Si vedrà. Così come è presto per capire quando verrà davvero trovata la «quadra» sulle Regionali. «Aspettiamo di avere uno scenario completo», quantomeno in casa Pdl, «prima di incontrare Umberto Bossi», spiega Berlusconi prima di lasciare la Camera, anticipando lo slittamento del vertice a tre in programma oggi. Prima di risedersi al tavolo con il Senatùr, infatti, vanno sciolti parecchi nodi. Oltra alla partita al Nord, con la Lega che spinge su Veneto e Piemonte (l’ipotesi di una doppia candidatura è poco realistica), puntando magari alla Lombardia, dove però Roberto Formigoni rimane super-blindato, a complicare i giochi è innanzitutto la questione Campania. Dove la candidatura di Nicola Cosentino - a cui Berlusconi chiede di tenero duro - per Fini non è più «nel novero delle cose possibili». E allora, prende quota per la corsa a governatore l’ex aennino Pasquale Viespoli, anche se nel calderone potrebbe finire pure la volata per il candidato sindaco di Napoli: i finiani spingerebbero per Marcello Taglialatela. Di conseguenza, nel Lazio si pensa seriamente ad Antonio Tajani, che lascerebbe la carica di vicepresidente della Commissione Ue (e il posto spettante a un italiano) a Massimo D’Alema. Sempre che l’ex presidente Ds la spunti per la nomina a ministro degli Esteri europeo.

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