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lunedì 11 gennaio 2010

Maremma terra di sorprese: Alpaca e super-gatti

Un allevamento di Alpaca per cambiare vita e allontanarsi dallo stress della vita in città. I simpatici animali di origine andina vengono allevati in una fattoria sull'Amiata gestita da un coppia.
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«Quando iniziammo questo lavoro la gente ci guardava sbalordita. Sono tutti abituati ad avere cani, gatti, polli e conigli. Ma gli alpaca quando mai?». Da questa scommessa, dall’azzardo con un mercato ancora tutto da esplorare, otto anni fa inizia la straordinaria avventura di Riccardo Romanelli e Rossella Testi, coniugi fiorentini che, partiti da tutt’altro lavoro (lui ingegnere meccanico, lei impiegata in un’azienda), si “riciclano” professionalmente creando dal niente - sulle pendici dell’Amiata, a Santa Fiora - uno dei più grandi allevamenti d’alpaca italiani: 40 esemplari di tutti i tipi, età e colori. Maschi o femmine, marroni o neri, hanno tutti un nome, ciuffi bianchi e neri arricciati in fronte. Dolcissimi e affettuosi, sguardo curioso e brillante, hanno una lana pregiatissima da cui tessere sciarpe o maglioni di straordinaria bellezza.
Con grande cordialità Romanelli accoglie nella sua tenuta in località Poggi la Bella per raccontare la sua storia e quella di sua moglie. L’azienda - una semplice fattoria “sorvegliata” dall’occhio indiscreto di 2 cani (Diana e Paco) e 8 gatti - porta il suo nome (“Romanelli Riccardo”), ma i veri sovrani che scorrazzano felici in 10 ettari di pascolo sono loro, 40 meravigliosi àlpaca (o alpàca) fonte di vita e gioia, serenità e reddito. Originari della cordigliera del Perù e simili ai lama, sputano come loro. Non hanno zoccoli ma un manto soffice e morbido. L’incontro tra la coppia fiorentina e gli alpaca risale al 2001 e fu una folgorazione, un colpo di fulmine capitato quando l’i ngegnere aveva 48 anni. Una bellissima storia di fughe e trasformazioni. «Per 40 anni io e mia moglie avevamo vissuto a Firenze - racconta - poi ci stufammo e nel ‘94 si scappò in campagna, a Greve in Chianti. Lì abbiamo vissuto fino al 2007. Io ho sempre fatto l’ingegnere meccanico, lei era impiegata in una ditta. Nel 2001 ci fu un periodo di crisi; l’azienda per cui lavoravo andò male e io fui messo da parte. Anche mia moglie aveva lasciato il suo incarico. Insieme dovemmo capire come riconvertirci in qualunque modo possibile, con un’attività che ci permettesse di sopravvivere. Ma a tutto pensavamo meno che agli alpaca».
Finché otto anni fa, era una domenica mattina, i coniugi gurdando la tv incappano in “Mela verde” su Rete 4. C’era un’allevatrice di Istia d’Ombrone coi suoi alpaca. «Restammo fulminati. Scendemmo in Maremma e ne comprammo 4: il nucleo originario da cui siamo partiti e che tuttora vive con noi a Santa Fiora. Briana, Palmira, Iman e Ulisse». A Greve quel nucleo si è moltiplicato e i 4 “pionieri” «hanno figliato diventando 6 volte tanti». A un certo punto «ci accorgemmo che la nostra terra non bastava più e via di nuovo: decidemmo di cambiare zona. La scelta cadde su Santa Fiora e da qui inizia un’altra storia». Il trasloco fu particolare e quasi umoristico. «Oltre ai mobili ci portammo dietro 24 alpaca in due camion, suscitando lo sbigottimento e l’ilarità dei nostri amici, nessuno dei quali abituato a sentir parlare di questi animali». In Amiata gli alpaca sono diventati 40. Solo quelli comprati dall’allevatrice di Istia provengono dal Perù. Gli altri sono nati in Toscana e hanno nomi italianissimi e classici, pure rinascimentali e artistici. Cosimo, Lorenzo, Giotto, Leonardo, Bernardo. Beatrice, Elena, Aurora, Greta. Due settimane fa è nato l’ultimo, Lapo. «Ora la nostra fattoria è al completo, e io e mia moglie siamo felici. Lei produce a mano (ai ferri o all’uncinetto) ma anche a macchina con un vecchio telaio di legno. Il mercato è di nicchia ma riusciamo a vivere di questo. Andiamo nei mercatini, vendiamo in loco, abbiamo un sito (www.fioralpaca.it) e apriamo la fattoria a chiunque voglia conoscerla». Uno dei pochi allevamenti italiani che è riuscito a raggiungere l’obiettivo di trasformare il tutto in prodotto finito. Un sogno che si è realizzato. (Il Tirreno)

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