Ultimissime AISE Agenzia Internazionale Stampa Estero

IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO

domenica 25 luglio 2010

I democratici licenziano il migliore: Veronesi

L’ex ministro dell’Ulivo accetta dal governo la guida dell’agenzia nucleare e il Pd gli impone di dimettersi da senatore. Lo scienziato a muso duro: "Nessun problema, me ne vado". Ormai siamo alle epurazioni per "collaborazionismo"
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Per il nucleare, è pronto a dire addio al Pd e al seggio di Palazzo Madama. L’oncologo e senatore Um­berto Veronesi lo ha chiarito ie­ri, dopo giorni di polemiche e di ultimatum da parte di espo­nent­i del partito che lo ha volu­to candidato alle ultime elezio­ni: «Nessun problema: sull’in­compatibilità avevo deciso pri­ma che il partito si esprimesse. Se accetto il ruolo lascio la cari­ca di senatore». Se dunque si concretizzerà, da parte del go­verno, la proposta di nomina­re Ve­ronesi alla presidenza del­la neonata Agenzia per la Sicu­rezza sul nucleare, lui si dimet­terà da parlamentare, come gli è stato chiesto dal Pd. Ma qualcosa, al partito di Bersani, il professore la manda a dire,in un’intervista a Repub­blica : «Io sono a favore del nu­cleare da sempre. Non da oggi, non da pochi mesi», e dunque chi lo ha candidato non può ora cadere dalle nuvole per la sua disponibilità. E poi «pensa­vo che la sinistra, storicamen­te impegnata nella protezione della salute, trovasse congenia­le alla sua cultura il fatto di­met­tere come responsabile della si­curezza una persona che la rap­presenta. Invece non è stato co­sì ». Anzi, l’ala ecologista del partito è insorta, chiedendogli di avere il «buongusto» di an­darsene se aveva intenzione di accettare l’incarico. Mentre da varie parti gli è arrivata l’accu­sa velata di «tradimento». Vero­nesi tiene a precisare che accet­tare l’incarico non equivale a vendersi al nemico, anche per­ché l’agenzia deve studiare la sicurezza del nucleare e non «decidere se e dove le centrali vanno costruite», dunque «la mia posizione nell’Agenzia non avrebbe niente a che vede­re con la politica energetica del Paese: peccato che qual­che collega del Pd non lo abbia voluto capire». Veronesi è comunque pron­to alle dimissioni dal Senato. E questo nonostante non sia ob­bligato a farlo, visto che nella legge istitutiva dell’Agenzia è stata inserita una norma che sancisce uno stretto regime di incompatibilità con il manda­to­parlamentare per tutti i com­ponenti del Consiglio del­l’Agenzia tranne uno: il presi­dente, appunto. Una «norma ad personam», ha denunciato il Pd. E un «tentativo di giocar­ci in casa» da parte della mag­gioranza, mettendo a capo del­­l’Agenzia un fiore all’occhiello rubato allo schieramento op­posto. «Per Berlusconi - nota il parlamentare Ermete Realacci - sarebbe un gran coup de théâtre , quello che non gli è riu­scito con la Marcegaglia o con Montezemolo, tanto più in un momento in cui la politica nu­cleare del governo è in impas­se ». Dietro la scelta di Veronesi (di cui si parla addirittura co­me possibile Nobel per la medi­cina) ci sarebbero anche la spinta del Quirinale verso una scelta «bipartisan» e di garan­zia, e il lavorio diplomatico di Gianni Letta. Anche se in una parte del Pdl c’è una fronda an­ti- Veronesi, che avanza il no­me del senatore berlusconia­no (nonchè ingegnere nuclea­re) Guido Possa. In casa Pd, dopo la polemica degli scorsi giorni, ci si è resi conto del passo falso. Il segreta­rio Bersani si è affrettato ad in­contrare l’oncologo, e ieri il suo portavoce Stefano Di Tra­glia ha assicurato che Bersani «non ha mai posto la questio­ne delle dimissioni», che c’è «massimo rispetto» per le scel­te di Veronesi e che quella del Pd non è una «contrarietà ideo­logica al nucleare», semmai una valutazione di «scarsa cre­dibilità dei piani del governo». (Il Giornale)
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Parla l'oncologo Umberto Veronesi, Senatore del Pd, ed invia una lettera al Corriere della Sera: Ecco le cinque ragioni per cui potrei dire sì all'Agenzia sul nucleare
Caro direttore,
Il dibattito che si è sviluppato intorno all'ipotesi di una mia nomina a Presidente dell'Agenzia per la Sicurezza del nucleare appare confuso su 5 punti fondamentali, che tengo molto a chiarire. Primo, la scelta non è ancora fatta: non ho accettato la proposta di nomina a Presidente, ma la sto attentamente valutando. La decisione che ho preso è che, nel caso in cui accettassi, sicuramente mi dimetterei dal Senato. Lo farei non per motivi partitici, ma perché non potrei conciliare attività scientifica, agenzia e lavori in Senato. Dunque al momento continuo la mia attività senatoriale, all'interno della Commissione Istruzione, Ricerca e Cultura, dove si lavora bene intellettualmente e umanamente. Secondo, ho posto precise condizioni al mio sì: il piano deve essere tecnologicamente avanzato, economicamente sostenibile e professionalmente gestito da figure di alto profilo scientifico e non selezionate in base a logiche di partito. Inoltre il mio ruolo deve garantire ampi margini di libertà di decisione e di azione, e deve essere compatibile con la mia attività clinica, medica e scientifica, che non ho alcuna intenzione di abbandonare. Terzo, le mie competenze in qualità di Presidente sarebbero di coordinamento degli esperti in materia di nucleare (prevalentemente fisici), con una responsabilità diretta circa la sicurezza per la salute della popolazione.
Chi teme la mia mancanza di sapere ed esperienza tecnica sul nucleare va rassicurato: mi occuperò di rischio per la salute e prevenzione, come faccio da sempre, con impegno. Va detto comunque che ho sempre coltivato l'interesse per la fisica (anzi direi che sono un appassionato); non a caso ho ricevuto la Laurea Honoris Causa in Fisica dall'Università di Milano. Quarto, la motivazione del mio profondo interesse per la proposta è che ritengo che la scelta del nucleare sia un Bene per il Paese, che amo e che vorrei vedere sviluppare in linea con gli standard mondiali più avanzati. La mia posizione ha origini scientifiche «storiche» e non è cambiata nel tempo. Gli Stati Uniti e, proprio ai nostri confini, la Francia e la Svizzera (modello di qualità di vita per noi italiani) hanno da anni investito nel nucleare e continuano a sviluppare strategicamente la loro scelta. Come fonte di energia, il nucleare è al momento la meno tossica per l'uomo: il rischio collegato al suo utilizzo è quello di incidente alle centrali di produzione, ed oggi nel mondo è calcolato vicino allo zero. E' dunque l'alternativa più valida al petrolio, che è altamente inquinante ed è causa di conflitti sanguinosi, oltre che di episodi disastrosi per l'ambiente e la salute, come abbiamo vissuto di recente con la vicenda americana della Bp. Quinto ed ultimo punto, la mia eventuale decisione a favore della nomina non cambia il mio pensiero, la mia filosofia e il mio impegno sociale. Sono legato (in alcuni casi anche iniziatore) ai movimenti che sostengono i diritti dei più deboli e dei più poveri, che lottano contro l'ingiustizia sociale, che si impegnano contro gli squilibri economici, l'indigenza e la fame nel mondo, che promuovono la pace e il rispetto dei diritti umani, che agiscono a favore della questione femminile. Questi sono i temi che applicano i valori della Sinistra, a cui ho aderito per tutta la vita, dalla lontana Resistenza, all'incarico come Ministro in un Governo di sinistra, fino al mio recente impegno in Parlamento. Valori che non rinnego e continuerò a trasformare in atti concreti. Per questo, su caloroso invito di Walter Veltroni, nel 2008 ho accettato di candidarmi al Senato e per questo, sono convinto, sono stato eletto a Milano: portare in Parlamento i miei 50 anni di battaglie per la salute, la scienza e la libertà di pensiero e di ricerca. Come ho dichiarato apertamente, non sono mai stato iscritto ad un partito e non mi sono iscritto al Pd. Il mio contributo alla vita dei cittadini e al Paese sono convinto sia, in questo momento, accettare un ruolo di tutela della salute nell'ambito di una scelta nucleare (che strategicamente condivido) comunque già presa dall'attuale Governo. Per questo, se tutte le condizioni che ho indicato saranno rispettate, accetterò la nomina di Presidente dell'agenzia per la sicurezza del nucleare. (Il Corriere della Sera)

sabato 24 luglio 2010

L'Etna 7000 anni fa provocò uno tsunami

Secondo uno studio il più grande vulcano attivo d'Europa fu causa di un catastrofico evento naturale nel mar Mediterraneo
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Settemila anni fa ci fu nel mar Mediterraneo uno tsunami provocato dall'Etna. E' l'ipotesi dell'Ingv di Pisa, esposta nel 2007 dal presidente dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia Enzo Boschi, che sarà il tema di un convegno che si terrà la sera di martedì prossimo al Palazzo della Cultura di Catania. L'iniziativa è promossa dal Comune.
L'ipotesi vede l’Etna al centro di un evento catastrofico: lo tsunami maggiormente devastante verificatosi nel mar Mediterraneo circa 7.000 anni fa, causato dal collasso di una parte del versante orientale del vulcano che precipitò in mare causando onde alte sino a 50 metri. All'incontro, organizzato dall'assessore alla Cultura, Marella Ferrera, e coordinato da Marcello Guarnaccia, notista di No Limits World, interverranno Elena Flavia Castagnino Boringhieri, archeologa subacquea, docente di urbanistica antica, Carmelo Monaco, ordinario di Geologia strutturale dell'università di Catania e esperti del settore. A moderare i lavori sarà il giornalista Alfio Di Marco.

Venezuela: Chavez rompe con la Colombia

All'origine dello strappo le accuse di proteggere i guerriglieri della FARC.
I diplomatici di Bogotà invitati a lasciare il paese. L'Onu: "Evitare l'escalation della violenza"

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Cresce la tensione tra Venezuela e Colombia, e scatta un ultimatum. Il Presidente Hugo Chavez ha annunciato la rottura dei rapporti diplomatici con la Colombia. "Mi vedo costretto a farlo", ha detto il capo dello Stato venezuelano, in riferimento al fatto che a Washington, nel corso di una assemblea straordinaria dell'Organizzazione degli Stati americani (Osa), l'Ambasciatore colombiano, Luis Alfonso Hoyos, ha denunciato che almeno 1.500 guerriglieri delle Farc sono dislocati in 87 accampamenti che si trovano in territorio venezuelano. Chavez ha fatto l'annuncio mentre riceveva Diego Maradona nel palazzo presidenziale.
L'ULTIMATUM - Appena un’ora e mezza dopo la dichiarazione di Chavez, il capo della diplomazia venezuelana, Nicolas Maduro, ha dato 72 ore di tempo ai diplomatici colombiani per lasciare il Paese e ha chiuso l’ambasciata del Venezuela a Bogotà. Si tratta del momento più difficile nelle relazioni bilaterali fra i due paesi dal marzo 2008, quando Chavez aveva schierato le sue truppe alla frontiera con la Colombia dopo il bombardamento di una postazione delle Farc in Ecuador, alleato di Caracas, costato la vita a 25 uomini, fra cui il numero due della guerriglia marxista.
CRITICHE USA - Secondo gli Stati Uniti la decisione del Venezuela di rompere i rapporti con la Colombia "non è stato un buon modo di agire". Secondo il portavoce del Dipartimento di Stato P.J. Crowley, la rottura dei rapporti "non è stato un buon modo" per esprimere le proprie preoccupazioni da parte del Venezuela.
LA COLOMBIA PRONTA ALLA DENUNCIA - Il procuratore generale della Colombia, Guillermo Mendoza, ha annunciato oggi che il suo ufficio sta esaminando l'ipotesi di una denuncia contro il governo venezuelano davanti alla giustizia internazionale per la presunta collaborazione offerta dal Venezuela ai guerriglieri colombiani.
ONU: EVITARE ESCALATION - Il segretario generale dell'Onu Ban Ki Moon ha invitato i governi di Colombia e Venezuela ad evitare una escalation della tensione e a risolvere attraverso il dialogo il nuovo contenzioso che ha portato alla rottura delle relazioni diplomatiche. L'intervento delle Nazioni Unite arriva dopo che Bogotà ha accusato davanti all'Osa (Organizzazione degli Stati americani) il Paese vicino di ospitare guerriglieri colombiani sul proprio territorio, attraverso immagini, filmati e mappe fotografiche.

mercoledì 21 luglio 2010

È nato prima l'uovo o la gallina? Dice la scienza...

Un gruppo di ricercatori britannici tenta di porre fine a un'annosa questione che da secoli tiene impegnati scienziati e filosofi: è nato prima l'uovo o la gallina? La risposta è in una proteina responsabile della formazione del guscio delle uova....
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L'annosa questione su chi sia nato prima tra l'uovo e la gallina ha finalmente una risposta: l'ha trovata un gruppo di scienziati inglesi nel corso di una ricerca sui processi che portano alla cristallizazione del carbonato di calcio e alla formazione della parte rigida del guscio delle uova. Colin Freeman e i suoi colleghi delle Univesità di Warwick e Sheffield hanno scoperto che la proteina ovocledidina17 (OC-17) presente nelle ovaie delle galline è responsabile della trasformazione del carbonato di calcio in cristalli di calcite, la sostanza che compone la parte più dura del guscio. Non solo, hanno anche scoperto che in assenza di questa proteina il guscio delle uova non si indurisce e quindi non può ospitare il pulcino.Secondo gli scienziati di Sua Maestà, la gallina, o almeno questa sua proteina, sarebbe quindi nata prima dell'uovo. "Non è ciò che volevamo dimostrare con questa ricerca, ma è sicuramente una considerazione interessante" dichiara divertito ai media il professor Freeman. "In realtà la questione è molto più complessa e risale ai tempi in cui i dinosauri antenati degli uccelli hanno imparato a fare uova con il guscio duro". Per quanto originale, la ricerca di Freeman e colleghi è serissima e potrebbe portare a interessanti sviluppi pratici nel campo della sintesi ossea artificiale e dello stoccaggio della CO2 sottoforma di calcare.
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Ci sono voluti secoli di studio e tutta la potenza di un moderno supercomputer, ma finalmente uno dei quesiti più antichi della storia - è nato prima l'uovo o la gallina? - ha una risposta. Colin Freeman e i suoi collaboratori delle università di Warwick e Sheffield (Gran Bretagna) non hanno dubbi: è nata prima la gallina o, almeno, una sua proteina che gioca un ruolo chiave nella formazione del guscio delle uova.
Gli scienziati sanno da tempo che la proteina ovocledidina17 (OC-17), presente solo nella parte più dura del guscio e nelle ovaie delle galline, influenza la trasformazione del carbonato di calcio in cristalli di calcite (la sostanza che rende duro il guscio stesso), ma non sono mai riusciti a chiarire il meccanismo di questa trasformazione. Per risolvere il mistero hanno chiesto aiuto a Hector (High End Computing Terascale Resource), un supercomputer installato a Edimburgo ed esperto in evoluzione delle dinamiche cellulari. Grazie a questa macchina hanno messo a punto una simulazione che mostra come la proteina si lega al carbonato di calcio per mezzo di particolari "pinze chimiche". Una volta stabilito il legame la OC-17 lavora come catalizzatore: aiuta cioè le partcelle di calcio a trasformarsi in cristalli di calcite e ad accumularsi l'una sopra l'altra. Quando il nucleo del cristallo è sufficientemente grande da poter continuare la sua crescita da solo, perde il legame con la proteina, che si ricicla legandosi ad altri cristalli e velocizzando così l'indurimento del guscio che avviene,solitamente, nel giro di una notte.
I ricercatori hanno inoltre scoperto che in assenza della OC-17 la cristallizzazione del guscio non può avvenire. É suffciente per affermare che la gallina è nata prima dell'uovo? " Non è quello che abbiamo voluto dimostrare con il nostro studio, ma è sicuramente un punto interessante" dichiara divertito ai media Freeman, "In realtà la questione è molto più antica e risale ai tempi in cui i dinosauri, antenati degli uccelli, hanno imparato a fare uova con il guscio duro".
Lo studio degli scienziati britannici è in realtà serissimo e con risvolti pratici molto concreti: aiuterà infatti i ricercatori a mettere a punto dei nuovi sistemi per sintetizzare ossa artificiali e per immagazzinare la CO2 sottoforma di calcare.
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Eppure qualche anno fa un altro illustre cattedratico inglese era giunto a conclusioni ben diverse... Ecco ciò che veniva affermato:
È nato prima l’uovo della gallina? L’annosa questione ha una risposta e viene da John Brookfield dell'Università di Nottingham (Inghilterra): L’uovo viene prima della gallina. Perché? "Il patrimonio genetico non cambia durante la vita di un organismo" afferma lo scienziato. "L’uccello che nel corso dell’evoluzione si è trasformato nell’attuale pollo in tempi preistorici pertanto deve essere stato un uovo". La ricerca, a metà strada tra scienza e saggezza popolare, ha chiamato in causa genetisti e biologi, ma anche filosofi e… produttori di uova.

domenica 18 luglio 2010

Intervista a Tremonti: "No a governi tecnici"

Intervista di al ministro dell'Economia. "Grazie alla manovra l´Italia è allineata all´Europa. E la P3? Una cassetta di mele marce. Nessuna alternativa a Berlusconi e nessun governo tecnico, l'Europa non approverebbe"
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"Il governo Berlusconi è forte, e non esistono alternative credibili. Né governi tecnici, né larghe intese. Sono fuori dalla storia, e l'Europa non approverebbe". Giulio Tremonti non ha dubbi. A dispetto degli scandali della P3 e dei conflitti sulla manovra, vede un'Italia solida e coesa, e un governo in pieno "controllo", da qui alla fine della legislatura. Il ministro dell'Economia nega conflitti e dimissioni. "Mai minacciato nulla. Tutt'al più ho detto qualche volta "non firmo"".
Difende il Cavaliere su tutta la linea. Dalla P3, "al massimo una cassetta di mele marce", alle intercettazioni, "tutt'al più una legge-bavaglino". E sbarra la strada a qualunque ipotesi di governo tecnico alla Draghi, o di larghe intese senza Berlusconi. "Governo tecnico? Governo di unità nazionale? Sono figure che sembrano stagionalmente incastrarsi nella forma di una geometria variabile che ricorda un vecchio caleidoscopio. Avrei preferito proseguire il discorso che abbiamo iniziato come discorso sulla "democrazia dei contemporanei"...".
D'accordo, allora, partiamo pure dalla "democrazia dei contemporanei". Cosa intende dire?
"La democrazia dei contemporanei è diversa da quella "classica", e questa a sua volta era diversa dalla democrazia della agorà. E pure sempre è necessaria, la democrazia. Ed è ancora senza alternative - la democrazia - pur dentro la intensissima "mutatio rerum" che viviamo e vediamo. Intensa nel presente come mai nel passato, dalla tecnologia alla geografia. La scienza muta l'esistenza. La "medicina", la "ars longa" sempre più estende il suo campo, non più solo sulla conoscenza del corpo umano, ma essa stessa ormai capace di ricrearlo per parti. L'iPad muta le facoltà mentali, crea nuovi palinsesti, produce in un istante qualcosa di simile a quello che per farsi ci ha messo tre secoli, nel passaggio dal libro a stampa alla luce elettrica. Per suo conto, Google vale e conta strategicamente ormai come e forse più di uno Stato G7. E poi è cambiata di colpo la geografia economica e politica. Di colpo, perché i venti anni che passano dalla caduta del muro di Berlino ad oggi sono un tempo minimo, un tempo non sviluppato sull'asse della lunga durata tipica delle altre rivoluzioni della storia".
Dove porta questo ragionamento sul cambiamento della democrazia?
"Se cambia la geografia, la politica non può restare uguale. La politica come è stata finora è stata costruita sulla base territoriale chiusa tipica dello Stato-nazione, su confini impermeabili che concentravano nello Stato il monopolio della forza. E la politica era la forma di esercizio e di controllo della forza. La stessa democrazia era rapporto tra rappresentanza e potere. Ora non è più così. L'asse si sta inclinando, la rappresentanza cresce, il potere decresce, eroso e diluito dallo spazio globale. E la crisi radicalizza questa asimmetria. La crisi genera domande crescenti d'intervento. I popoli chiedono interventi sempre più forti, a governi sempre più deboli".
Giusto, basta guardare alla debolezza del governo Berlusconi...
"Non è così. Il mio ragionamento vale per tutti i governi. La formula di soluzione e reazione politica non può essere più solo nazionale, ma internazionale. Ed è questo il senso politico della "poliarchia" disegnata nell'enciclica "Caritas in veritate". È proprio questo quello che si sta facendo in Europa in questi mesi, in questi giorni, costruendo sopra gli Stati una nuova "architettura politica"".
Ministro, per favore, passiamo dalla filosofia alla cronaca di questi giorni. Parliamo delle difficoltà dell'Italia e del suo governo. Qui si parla di crisi, di elezioni anticipate, di governi di transizione...
"In Italia la formula di soluzione non può essere quella del governo tecnico. Per due ragioni. Primo, perché non c'è una "melior pars" fatta di ottimati, di tecnici, di illuminati, capaci di governare la complessità. Li vedo, certo, ma non li vedo capaci di governare. Secondo, perché un governo di questo tipo, non basato sul voto popolare, non avrebbe chance di prendere posto al tavolo dell'Europa".
Cioè? Lei sta dicendo che l'Europa avrebbe il potere di dire no a un governo tecnico in Italia?
"È così. E non solo perché l'Europa è costruita sul canone della democrazia, ma soprattutto perché l'Europa, avviata a prendere la forma di un comune destino politico, presuppone e chiede comunque una base di stabilità e di forza. Questa derivante solo dalla politica e dalla democrazia. Tipico il caso della Grecia: la fiducia europea è stata indirizzata verso il governo greco legittimamente eletto. La negatività, verso un ruolo esclusivo del Fondo monetario internazionale, era basata sulla diffidenza verso una formula che sarebbe stata più debole, proprio perché solo tecnica. La tecnica può essere solo complementare alla politica, e non sostitutiva".
Ma chi si potrebbe opporre, invece, a un governo politico di larghe intese, di cui parlano in molti, nel Pd e nell'Udc?
"La casistica delle larghe intese si presenta solo in due scenari. Dopo elezioni che evidenziano la bilaterale insufficienza delle forze in campo, o per effetto di un trauma. Francamente, nel presente dell'Italia non vedo un trauma tanto forte da spingere verso questa ipotesi di soluzione. Non un trauma "economico", non un trauma "esterno", non un trauma "giudiziario"".
Sull'economia, in realtà, il trauma lo abbiamo rischiato di brutto con l'attacco dei mercati, e forse continueremo a rischiarlo oggi e nei prossimi mesi. Non è così?
"Il trauma economico è stato ipotizzato subito, appena dopo la costituzione di questo governo, a fronte della crisi che arrivava. L'ipotesi non si è verificata. Era un'ipotesi basata tanto su di una insufficiente e solo parziale analisi della realtà, quanto sulla sottovalutazione della forza del governo. 2008, 2009, 2010. Siamo ormai verso il terzo autunno, e puntualmente per ogni autunno si prevedeva e ora si prevede la crisi. Una crisi esterna, causata dallo scatenarsi della speculazione finanziaria sul nostro debito pubblico. Una crisi interna, con la rottura dell'ordine e della coesione sociale. In questi anni la sinistra ha puntato sulla paura, come se questa fosse un'ideologia congiunturale sostitutiva. Non è stato così, non è così, non sarà così".
Ma è stato lei a dire che senza la manovra rischiamo la fine della Grecia...
"Appunto, senza la manovra. In realtà nel 2008 siamo partiti con la legge finanziaria triennale e siamo andati avanti sulla stessa linea. I numeri dell'Italia sono ormai allineati nella norma e nella media europea. Avrebbe potuto essere diverso, e non è stato. E questo è stato certo per la forza propria e sottovalutata dell'Italia. Ma anche, si vorrà ammettere, per la visione e per la forza nell'azione di governo".
Eppure, basta parlare con un po' di ambasciatori per sapere che i nostri partner occidentali temono per la tenuta politica del governo Berlusconi. Lo può negare?
"Sarebbe questo il secondo trauma, quello "esterno". Una volta si diceva "tintinnare di sciabole". Ora, in un'età più pacifica, si parla di "voci di Cancelleria". Francamente non mi pare che si tratti di dati rilevanti. Per due ragioni. Perché la crisi postula la stabilità come valore superiore. E poi perché non pare che tanti altri governi siano in condizioni di forza superiore a quella dell'Italia. Per essere chiari, in giro per l'Europa non vedo governi tanto forti e tanto determinati e determinanti. Ma, all'opposto, tutti impegnati nella gestione delle proprie crisi interne. Gestione che, in giro per l'Europa, non mi sembra più forte della nostra, ma spesso anche contraddittoria, incerta e contestata. In realtà, siamo tutti impegnati in Europa nella costruzione di una architettura nuova di comune e superiore interesse. Il ruolo dell'Italia nello scenario europeo è forte, richiesto e reputato. Il ruolo di Silvio Berlusconi è forte. E, nel mio piccolo, per esempio martedì sono invitato in Germania a Friburgo per la "Lezione europea". E non come professore di università, ma come ministro della Repubblica italiana".
Eppure la vostra maggioranza rischia ogni giorno l'implosione interna. Che mi dice delle inchieste, dei ministri che si dimettono, dello scandalo della P3?
"Per scelta politica, tendo sempre ad analisi di sistema. È certo che non si tratta solo di una mela marcia. C'è qualcosa di più. Forse, e anzi senza forse, è venuta fuori una cassetta di mele marce. Ma l'albero non è marcio, e il frutteto non è marcio. La combinazione perversa è tra le condotte personali e la crisi generale. La crisi postula la salita, e non la discesa nella scala dell'etica, e se vuole anche dell'estetica".
Quindi anche lei, come il premier, pensa che questi siano solo polveroni?
"La politica deve sempre distinguere tra ciò che è "reato" e ciò che è "peccato", e non confondere l'uno con l'altro. Ci può essere reato senza peccato, come ci può essere peccato senza reato. I dieci comandamenti sono una cosa, i codici una cosa diversa. Un discorso politico serio deve e può essere avviato anche in casa nostra su questo campo. Anzi è già iniziato, ma proprio per questo non può essere generalizzato e banalizzato".
Banalizzato? Qui ci sono pezzi di Stato e di governo che cercano di infiltrarsi e condizionare le decisioni della magistratura, in nome di "Cesare". Dove vede la banalità?
"Per banalità intendo la "banalità del male". E anche per questo non credo che puntare sulla valanga delle intercettazioni renda un buon servizio all'etica politica".
Le ultime intercettazioni ci hanno però permesso di svelare le trame intorno all'eolico, e alla nuova cupola ribattezzata appunto P3...
"Le ultime intercettazioni costituiscono una lettura interessante. Ne emerge un bestiario fatto di faccendieri sfaccendati, di "poteri" impotenti, se si guarda i risultati, di reati più "tentati" che "consumati". Più si affolla la scena, più tutto si confonde. E la presunta "tragedia" si fa commedia. Questo non vuol dire che non ci sia una questione morale...".
Meno male: riconosce che esiste una questione morale nel centrodestra?
"Ma quella morale è una questione generale. Questo è un Paese in cui molti "governi" locali si sono clonati e derivati in galassie societarie "parallele". Spesso più grandi dei governi stessi. E non sempre sotto il controllo democratico e giudiziario. Leggasi la monografia della Corte dei Conti. Mezza Italia è in dissesto sanitario. E questo riduce drammaticamente la "cifra" della morale pubblica. Troppo spesso i fondi pubblici sono una pipeline verso gli affari. Oggi l'affare degli affari è quello dell'eolico, almeno questo non inventato da noi. Vastissime aree del Paese sono deturpate da pale eoliche sorte all'improvviso, in un territorio che nei secoli passati non ha mai avuto i mulini a vento. E forse ci sarà una ragione. È in tutto questo che vedo la grande questione morale, questo è l'albero storto che va raddrizzato. E per farlo non vedo alternative al federalismo fiscale. L'unica, l'ultima forma per riportare nella trasparenza e nell'efficienza la cosa comune".
Nel frattempo, per nascondere tutto ai cittadini, il governo vara la legge-bavaglio. Lei è d'accordo anche con questo?
"La traccia possibile di una discussione seria su di un tema serio, come quello della dialettica tra il diritto alla privacy e il diritto all'informazione, si è persa in un labirinto. E solo ora forse può essere ritrovata. Più che di bavaglio, pare che si trattasse di un "bavaglino". Si è troppo confuso, e non certo solo da parte nostra, fra i mezzi e i fini".
Bavaglino, dice lei? E allora perché avete paralizzato per questo il Parlamento per ben due anni, a discutere di intercettazioni, invece di parlare dei problemi veri del paese?
"Al Parlamento è bastato un mese per fare la "manovra". Un'azione effettiva, la prima fatta in Europa e qui dall'Italia. Altrove siamo ancora allo stadio dei disegni, dei documenti, dei propositi, delle reazioni di piazza. Da noi non è stato così. E la "manovra" non è stata solo finanza, ma anche politica. Per la prima volta è riduzione del perimetro dello Stato, con l'effettivo azzeramento di trenta enti pubblici, dei costi del governo e della politica".
Ministro, a parte i tagli alle Regioni, nella manovra non c'è niente di strutturale...
"Nella manovra è stata fatta la riforma delle pensioni più seria d'Europa in questi anni e pari data c'è stata Pomigliano, con il lavoro che non esce ma torna in Italia e nel Mezzogiorno. E forse queste due, pensioni e Pomigliano, sono due P più importanti della P3. Con rispetto parlando, e con orgoglio parlando, l'azione del governo contro la criminalità organizzata ha un'intensità e un'efficacia finora non conosciute. E forse anche questo va messo sul piatto della giustizia".
Ma le Regioni? Perché i governatori protestano? Perché Formigoni dice che dovrà tagliare i servizi ai cittadini?
"Qui vale la dialettica tesi, antitesi, sintesi. Il processo politico ha funzionato subito con i Comuni e le Province, e si sta chiudendo ora anche con le Regioni. Come Comuni e Province, così le Regioni hanno infine fatto propria la nostra ipotesi di discuterne all'interno del federalismo fiscale tanto municipale quanto regionale. E alla fine il bilancio mi sembra positivo. Nell'insieme la manovra è stata fatta su una vastissima base di consenso sociale".
E la crescita? Anche su questo il piatto della manovra è miseramente vuoto. Può negarlo?
"Come le ho detto, i numeri italiani sono allineati alla media europea. Nella manovra, oltre alla stabilità finanziaria, c'è comunque una prima "cifra" dello sviluppo. Dalle reti di impresa alla drastica riduzione della burocrazia. Più in generale nel tempo presente non esiste lo sviluppo in un Paese solo, non si fa lo sviluppo con la Gazzetta ufficiale, soprattutto avendo il terzo debito pubblico del mondo. Del resto la ripresa in atto è portata più che dalle politiche economiche, dal cambio sul dollaro. E tuttavia certo molto deve esser fatto ancora. Dalla "battaglia per il diritto", troppe regole sono infatti un costo e un limite allo sviluppo, per arrivare alla ricerca, per cui dovrebbe essere fatto un maxi fondo d'investimento pubblico, alla combinazione tra la riforma degli istituti tecnici, cui devono concorrere anche le imprese, ed il contratto di apprendistato".
Bersani la invita da tempo ad andare in Parlamento, a discutere della crisi. Perché lei si rifiuta?
"La sequenza non può essere prima chi e poi cosa, e cioè prima si sceglie chi governa e poi si decide cosa si fa. Questa sequenza riflette un eccesso di odio antropomorfo. Prima si deve discutere sul cosa".
E dello scontro tra il premier e Fini cosa mi dice. Quello non è un pericolo, per la tenuta del Pdl?
"Anche questo tema rientra nell'idea antropomorfa della politica, che non mi appartiene".
Non può negare che l'altro scontro dentro la maggioranza riguarda lei e il presidente del Consiglio. È vero che venerdì scorso persino Gianni Letta l'ha rimproverata in Consiglio dei ministri?
"Oggi ci abbiamo riso sopra. Vedo un eccesso di confusione tra "personale" e "politico". Certo, in politica conta anche il personale, ma su troppi "scontri" ho letto troppo folklore...".
È vero o no che lei minaccia quasi ogni giorno le dimissioni?
"Non ho mai minacciato le dimissioni, ma spesso ho detto "non firmo". E alla fine il voto è sempre arrivato, positivo e convinto. Tutto quello che ho fatto, e forse anche un po' più della politica economica, l'ho fatto convinto di fare comunque quello che mi sembrava bene per il mio Paese. E non avrei potuto farlo senza Berlusconi e Bossi, o contro Berlusconi e Bossi. E sarà così anche nel prossimo autunno e oltre". (Massimo Giannini - La Repubblica)

Scoperto a Roma un nuovo Caravaggio

Scoperto nel quarto centenario della morte dell'artista un nuovo Caravaggio. Il "Martirio di San Lorenzo" rinvenuto a Roma offre l'occasione per analizzare il rapporto del pittore con i gesuiti.
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Quattrocento anni fa, il 18 luglio 1610, moriva sulla spiaggia di Porto Ercole Michelangelo Merisi da Caravaggio, dopo aver trascorso una delle vite artistiche più famose e appassionate, tra il successo raggiunto, l'amicizia di influenti committenti e le ultime fughe disperate nell'Italia meridionale a causa di una condanna per omicidio. L'eccezionalità della sua vita è diventata quasi leggenda, e all'inizio del Novecento addirittura materia di studio per Mariano Patrizi, l'allievo più dotato di Cesare Lombroso, tanto da dedicargli una serie di studi incentrati sul binomio genio e follia.
Ci sarebbero moltissimi modi per ricordare oggi e festeggiare Caravaggio. In questo anno ogni sua opera d'arte è stata analizzata e sviscerata attraverso mostre, articoli e occasioni di vario tipo. Originali, copie, presunti autografi, tutto l'universo dell'artista è diventato notizia mediatica; capolavori e non, sono stati rimessi in gioco per ulteriori considerazioni e dibattiti. Il catalogo delle opere certe è diventato il tema della mostra (alle Scuderie del Quirinale) più visitata a Roma in questi ultimi tempi. Per evitare di entrare in queste querelles caravaggesche, si è scelto di trarre spunto da un quadro rimasto inedito fino ad oggi, il Martirio di san Lorenzo, di proprietà della Compagnia di Gesù. Di certo è un dipinto stilisticamente "impeccabile", però non si vuole ora cadere nel facile tranello di un "Caravaggio a tutti i costi". Saranno ulteriori indagini diagnostiche e un circostanziato approfondimento documentario, stilistico e critico a fornire le risposte. Per rendere omaggio a Caravaggio non interessa tanto ora stabilire una attribuzione certa, ma seguire quelle molteplici fila legate al dipinto che, con sorprendente naturalezza, si stringono intorno ad alcuni aspetti ancora inesplorati della sua vita a Roma.
Che il dipinto sia di grande bellezza è un fatto inequivocabile. Che sia, se non altro, un caravaggesco della primissima ora, risulta alquanto evidente. Notevole è la luce che dal fondo scuro sferza e modella con bagliori improvvisi la superficie dei volumi. L'originalità della posa del santo è sorprendente: all'apparenza quasi irriverente, san Lorenzo appare disteso a pancia in giù sulla graticola con le braccia in avanti, quasi a cercare la salvezza. Invece proprio questo volto giovane, sofferente e disperato mostra quell'umanità presente nel profondo significato teologico del martirio. La dimensione umana, espressa dallo sguardo e dal movimento della testa, tutta tesa in avanti, viene efficacemente comunicata allo spettatore, o meglio al fedele. Questa stessa sensazione si percepisce osservando le opere di Caravaggio per la cappella Cerasi a Santa Maria del Popolo. Ad esempio, nella prima versione rifiutata della Conversione di san Paolo (ora collezione Odescalchi), il santo istintivamente si copre con le mani gli occhi. L'impatto emotivo d'insieme con il corpo giacente del martire, invece, ricorda il Martirio di san Matteo nella cappella Contarelli, chiesa di San Luigi dei Francesi. Il particolare del braccio e della mano destra di san Lorenzo, inoltre, presenta lo stesso vigore di quelli di Oloferne nella Giuditta e Oloferne a palazzo Barberini. Come contrappunto compositivo, sempre nel quadro di san Lorenzo, vi sono tre personaggi che con crudo realismo fisiognomico e gestuale esaltano il pathos diffuso della scena. La torsione della schiena dell'aguzzino a sinistra, che sta svuotando la cesta con i carboni per la brace, si può accostare addirittura a quella del carnefice nella Decollazione di san Giovanni Battista nella cattedrale a La Valletta, Malta. Né biografie, né fonti caravaggesche nominano però questo soggetto, anche se il pittore affronta altri temi, sempre cruenti, in linea con le scelte religiose del tempo.
Il Martirio di san Lorenzo costituisce, infatti, un chiaro riferimento ai dettami iconografici di evidente matrice gesuitica, non a causa, però, dello specifico tema agiografico del santo diacono Lorenzo, anche se nella chiesa dei gesuiti a Venezia si trova un importante precedente: il famoso dipinto di Tiziano della metà del Cinquecento con una straordinaria soluzione luministica. L'iconografia si ricollega, invece, alla portata teologica del tema del martirio in genere, fortemente diffuso dalla Compagnia di Gesù. Si è, infatti, già da tempo ritenuto possibile che Caravaggio, giunto a Roma nel 1592, abbia avuto modo di conoscere il ciclo dei martiri, all'avanguardia per l'epoca, affrescato da Pomarancio nella chiesa di Santo Stefano Rotondo del collegio Germanico-Ungarico (1583 circa). Il marcato realismo voluto espressamente dai gesuiti, serve a facilitare nei novizi, destinati nelle terre di missione, la comprensione del momento del martirio, trasformando la paura in accettazione del proprio stato, per il tramite della grazia, proprio come avviene nel giovane san Lorenzo. Il coinvolgimento è essenziale. Il racconto della medievale Legenda aurea, fonte base per ogni artista, viene riletto, in seguito ai dettami tridentini, con maggiore attenzione per rendere una rigorosa descrizione dei fatti. Qui la capacità espressiva dell'artista nel mostrare le mani tese del santo forse si manifesta in modo esageratamente realistico per il luogo sacro a cui il dipinto era destinato. Quale cappella dei gesuiti, infatti, avrebbe dovuto ospitarlo? Anche di questo dato non si hanno per ora notizie, lasciando così spazio a qualche ipotesi.
Nella cappella dei martiri o di sant'Andrea al Gesù, Agostino Ciampelli, entrò il 1603 e dipinse sulla parete di sinistra un Martirio di san Lorenzo. Il semplice affresco ritrae il santo con la classica posa delle braccia rivolte verso l'alto, ma l'iconografia riecheggia molto il dipinto qui esaminato, soprattutto nel particolare insolito dell'aguzzino che svuota la cesta. Il patronato era di Salustia Cerrini, moglie di Ottavio Crescenzi, della nobile famiglia romana strettamente collegata alle vicende della committenza a Caravaggio della cappella Contarelli. Questa potente famiglia viene nominata frequentemente dagli studiosi a proposito dei contatti di Caravaggio con i suoi committenti, anche se non si hanno opere dirette da riferirle, né, ad un primo spoglio dei documenti archivistici Serlupi-Crescenzi, si è trovata qualche traccia. Forse i Crescenzi - come esecutori testamentari dei Contarelli - nello stesso tempo in cui trattano con Caravaggio le tele con le scene di san Matteo, possono aver pensato a lui per la loro cappella al Gesù. Poi, però, accantonato il dipinto ottenuto, subentra Ciampelli, che ne mantiene memoria nel suo affresco. Questi, infatti, viene chiamato direttamente dai gesuiti per concludere in maniera tradizionale le decorazioni rimaste vacanti al Gesù e a San Vitale.
Se queste possono fin qui sembrare facili suggestioni, rimane sempre il legame documentario di Caravaggio con i Crescenzi, che a loro volta hanno la cappella al Gesù. Per l'ipotesi di un'eventuale committenza di Caravaggio al Gesù - come tassello finale di questo percorso inesplorato - si aggiunge ora una nuova riflessione sul famoso processo del 1603, causato dal pittore Giovanni Baglione contro Caravaggio, Orazio Gentileschi e altri che lo avrebbero diffamato per invidia, facendo circolare per Roma dei versi satirici. Caravaggio, pur ricevendo già importanti committenze religiose, avrebbe voluto per sé quella ricevuta da Baglione: la pala d'altare del transetto destro della chiesa del Gesù, dedicato all'epoca alla Resurrezione di Gesù (attuale Cappella di san Francesco Saverio). Dalle vive parole di Caravaggio, trascritte nel verbale del processo (13 settembre 1603), si scopre così che egli conosce bene sia la chiesa sia la pittura di Baglione: "l'ho vista altre volte con l'occasione d'andare al Giesù, ma non me ne ricordo se c'era con me altri pittori". Del perché di queste ripetute visite alla chiesa non si ha riscontro, forse potrebbero essere state motivate anche dai legami con la famiglia Crescenzi. Sempre nel verbale del processo, Caravaggio fornisce un'ulteriore informazione di natura stilistica sul dipinto di Baglione: "Quella pittura a me non me piace perché è goffa (...) e a nessuno ha piaciuto". Più avanti invece dice che un vero pittore si può definire un "valent'huomo (...) perché sa dipingere bene e imitare bene le cose naturali". Ecco, in questa sintesi spontanea di concetti si trova la spiegazione più sincera dell'arte di Caravaggio: è giusto accettare pure il soggetto più esageratamente realistico e simile alla natura, come farà lui stesso ritraendo anche i piedi sporchi di personaggi in primo piano (Madonna di Loreto nella cappella Cavalletti, chiesa di Sant'Agostino a Roma), purché però sia dipinto bene e non in maniera sbagliata tanto da essere considerato da tutti "goffa". (Lydia Salviucci Insolera - L'Osservatore Romano)
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Individuata al civico 22 del vicolo del Divino Amore a Campo Marzio la casa romana di Michelangelo Merisi. L'inquilino che rompeva i soffitti.

Giunto a Roma verso il 1592 e dopo alcuni anni di nera miseria, Caravaggio fu accolto, come è noto, dal cardinale Del Monte in Palazzo Madama dal 1595 al 1601 circa. Dopo il successo e la fama a seguito dei capolavori nella cappella Contarelli (in San Luigi dei Francesi) e nella cappella Cerasi (in Santa Maria del Popolo), e in circostanze che ancora precisamente sfuggono, si trasferì - 1602-1603 circa - probabilmente presso i fratelli Mattei. Nel 1603 prese in affitto per conto proprio fino al 1605 una casa nel vicolo di San Biagio, come si chiamava all'epoca l'attuale vicolo del Divino Amore che oggi congiunge piazza Borghese e via dei Prefetti, in Campo Marzio.
Individuare con precisione questa casa mantiene una sua importanza non solo come mero dato biografico, ma perché il pittore dopo due anni fu accusato dalla proprietaria, Prudenzia Bruni, di aver rotto un "suffitto": e su questa semplice notizia si è costruita, negli ultimi decenni, una teoria secondo la quale Caravaggio andava rompendo i soffitti delle case per una sorta di "prassi pittorica": il che è ancora tutto da dimostrare.
Sulla scorta di una segnalazione del Bousquet del 1953, Marini nel 1981, in Antologia di Belle Arti, puntualizzò le ragioni che suggerivano di ritenere che la casa fosse situata in quella stradina, ipotizzando l'ingresso all'attuale civico 22 come "probabile portone della casa abitata dal Caravaggio nel 1605"; nel 1993, in Artibus et Historiae, Marini ritenne che il pittore risiedesse "presso la casa al n. 41 del vicolo di San Biagio" ma confondendo, a mio avviso, il numero progressivo degli "stati d'anime" (che si riferisce ai "fuochi", ossia ai nuclei familiari dell'intera parrocchia, che nel 1605 erano 116) con quello delle case (che alla medesima data erano in tutto 90).
Nello stesso 1993 Riccardo Bassani e Fiora Bellini pubblicarono il testo (attualmente in restauro) del contratto mediante il quale Caravaggio, il 16 settembre 1603, prendeva in affitto quella casa. In esso è registrata una descrizione abbastanza precisa dell'edificio: infatti Prudenzia Bruni, proprietaria (meglio che "affittacamere") e abitante in una casa "attaccata/contigua", concedeva in affitto a Caravaggio salam cum duabus cameris ut diceret al piano cum suffittis et eorum stantis superioribus, ac cum cantina suptus dictam domum, cortile, et horto in ea existentes nec non cum usu et facultate abuendi aquam a puteo in ipso presente dictae domus existens (sic).
Si trattava dunque di una costruzione "cielo-terra" a due piani, con vani al pianterreno e al primo piano: "al piano" (terra) esistevano una sala (o "stanzone", come si esprime Marini) e due camere cum suffittis (ed è importante notare come si parli qui di "soffitti" per indicare il lato inferiore della copertura degli ambienti al piano terra); si saliva poi al primo piano, dove esistevano eorum stantis superioribus che evidentemente si sovrapponevano alla superficie della sala e delle due camere site "al piano" terra; esisteva poi un cortile interno, al centro del quale era un puteo, provvisto anche di un horto, di entrambi i quali il Caravaggio aveva per contratto il diritto di servirsi; e infine esisteva un porticato interno che si affacciava su detto cortile, dato che il contratto venne stipulato in discoperto domo (sic), e cioè sotto una loggia o loggiato.
Questi essendo i dati, le circostanze e la documentazione, non si sa se può essere stato un rassegnato ma ingannevole scetticismo da parte degli studiosi ad aver impedito finora di proseguire le ricerche nella individuazione precisa della casa nella quale Caravaggio abitò per due anni. Il problema era infatti quello di identificare soprattutto un edificio, o un gruppo di edifici, nell'attuale vicolo del Divino Amore, che potessero ancora custodire tracce di un cortile, di un pozzo, di un portichetto e di un orto. Oggi la casa - a due soli piani - posta al civico 19 appare, nel suo impianto, corrispondente alla descrizione presente nell'atto del 1603, in quanto tutti gli elementi in esso descritti risultano sostanzialmente presenti in tale edificio, come le foto documentano.
Esistono infatti nel vestibolo al piano terra, subito dopo il cancello d'ingresso, a destra, una porta che immette in quella che doveva essere la "sala" (o "stanzone") e le due camere cum suffittis e a sinistra, le scale che portano alle "stanze superiori". Oltrepassato il vestibolo, nell'ampio cortile rettangolare interno esiste l'impianto evidente di un pozzo, la cui canna cilindrica sotterranea deve essere stata riempita e coperta, mentre la "vera" del pozzo deve essere stata abbattuta e al suo posto, al centro della circonferenza della vecchia "vera", è stato impiantato un lampione per l'illuminazione del cortile. E tuttavia, il fatto che nel cortile vi fosse originariamente un pozzo sembra testimoniato ictu oculi dal superstite disegno in travertino della circonferenza centrale (corrispondente all'antica "vera"), nonché dalle quattro diagonali che da essa si dipartono fino ai quattro angoli principali del cortile, dove esistono ancora, e sono perfettamente conservate e funzionanti, le quattro caditoie necessarie per convogliare l'acqua piovana nella cisterna sotterranea e quindi nel pozzo medesimo: le leggere pendenze della pavimentazione sagomata in selci del cortile, inclinanti verso le quattro caditoie e con il cerchio centrale a un livello leggermente più sollevato, testimoniano dell'antico impianto del pozzo. Sul fondo del cortile esiste, distinto da un muretto, uno spazio che attualmente risulta florido di piante, arbusti ed alberelli di modesta altezza ma che non smentisce la probabile antica destinazione a orto di quella parte del cortile.
Infine, rivolgendo dal cortile lo sguardo indietro, verso l'accesso che dal vestibolo immette nel cortile, emerge in tutta la sua nitidezza l'antico portichetto su due ordini (al piano terra e al primo piano) che corrisponde esattamente al discoperto domo nel quale il contratto di affitto fu stipulato: tale portichetto, della profondità di circa un metro e mezzo, corre lungo tutto il lato interno della casa (in linea parallela alla facciata sul fronte del vicolo), ed esso probabilmente - ma questo lo diranno gli architetti - si continuava una volta lungo il lato sinistro del cortile stesso, forse in contiguità con la casa in cui abitava la proprietaria Prudenzia Bruni. Il portichetto, impiantato su quattro robuste colonne o pilastri quadrati, regge poi un secondo ordine di colonne ugualmente quadrate, ma più leggere, che costituiscono il loggiato delle stanze al primo piano, limitato da ringhiere che affacciano sul cortile.
Pare difficile negare che proprio questo edificio a un piano sia esattamente la casa abitata dal Caravaggio in quei due anni dal 1603 al 1605: in ogni caso a ulteriori accertamenti, di natura architettonica e storico-archivistico-catastale, sono affidati i riscontri e le verifiche necessari per dilucidare ogni eventuale residuo dubbio.
E tuttavia, come si può comprendere, forse il ritrovamento preciso della casa abitata dal Caravaggio non si limita a essere un mero dettaglio cronachistico-biografico, dato che investe anche problematiche relative alla sua tecnica pittorica e alla sua poetica (specie per l'uso delle fonti di luce): e, di questo, si dovrà ancora discutere. (Pietro Caiazza - L'Osservatore Romano)

sabato 17 luglio 2010

Il Punto dell'On.le Marco Zacchera del PdL

n. 330 del 17 Luglio 2010
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“GOLPE” IN PIEMONTE ?
Sarà dunque il TAR del Piemonte a decidere chi ha vinto le elezioni regionali? E’ prematuro dirlo e bisogna avere rispetto per la Magistratura, ma quello che si delinea è del tutto assurdo. Conosco bene le leggi elettorali e mi sembra che – se i commenti di stampa saranno suffragati dai fatti – si stia montando un “caso” molto discutibile.
Chiarisco subito che io non difendo nessuno e se il sig. Giovine della lista “Pensionati per Cota” ha fatto pasticci e firme false per alcuni candidati (che peraltro al massimo hanno avuto una decina di preferenze in tutta la regione) va processato e condannato, ma questa sua responsabilità personale non capisco come possa essere ribaltata sugli elettori. Se quella lista non fosse stata presentata chi l’ha votata avrebbe forse votato per la Bresso? Non credo proprio, visto che “Cota” era scritto in giallo nel simbolo dei Pensionati alto così... E’ illogico pensarlo, non ha senso, credo che quasi tutti avrebbero “comunque” votato per un’altra lista di centro-destra!
E allora come si può sostenere che la volontà di quegli elettori non sia stata di appoggiare COMUNQUE Cota alla presidenza? Potrà essere cacciata forse la lista dal panorama del consiglio regionale, ma i voti collegati come voti dati a Cota presidente valgono, eccome!
Ma ancora più grave sono i giudizi che si preannunciano su altre liste. I “verdi verdi” si presentavano in Piemonte con il proprio simbolo (l’orsetto) come da decenni e non si capiva perché solo questa volta il simbolo non fosse andato bene - ed infatti il TAR li ha accettati - ma il caso Scandereberg è ancora più chiaro: l’ex leader dell’UDC (era capogruppo in regione del partito di Casini) era uscito tempo fa dal proprio partito per fare un suo movimento autonomo proprio per contestare l’anomala scelta dell’UDC in Piemonte di schierarsi con la sinistra.
l suo caso è stato sui giornali e in TV per due mesi, tutti ne hanno parlato: ma come si fa a dire che chi l’aveva votato non avesse esplicitamente, dichiaratamente, convintamene votato proprio per Cota ? Che il TAR adesso sostenga che solo la “doppia croce” una sul simbolo E un’altra sul nome del presidente Cota) può confermare la esplicita volontà di una scelta è assurdo e grave. Si poteva votare con la “doppia croce” oppure SOLO sul simbolo di una lista (come personalmente ho fatto anch’io e - come me - milioni di persone) sapendo che automaticamente il voto andava ANCHE al candidato presidente. Quindi votare solo il simbolo era una espressione di voto legittimo, giusto, regolare: come si fa adesso, DOPO le elezioni, a dire che quei voti non valgono più, recuperando eventualmente solo quelli che esplicitamente avessero indicato anche Cota? Stesso discorso per un’altra listerella, peraltro ininfluente sul conto finale.
Ma i giudici del TAR si rendono conto che agendo così cancellerebbero la volontà di milioni di persone sulla base di ricorsi presentati DOPO le elezioni (perché la sinistra non ha contestato prima le liste, se riteneva fossero da invalidare?) cancellando così la volontà di un intero corpo elettorale? E se quello fu la libera espressione del voto popolare, è giusto ripetere le elezioni tra qualche mese, magari addirittura con altri candidati? Ecco perché questa è davvero una brutta storia dove c’è il rischio impalpabile che ogni presa di posizione della Corte sia poi letta anche in chiave politica. Speriamo che al termine dei nuovi rinvii ed accertamenti il TAR decida in termini più equi rispetto alla effettiva volontà espressa dai cittadini.
PDL: REGOLE E TRASPARENZA
Difficile non sentirsi in difficoltà nell’affrontare con la consueta schiettezza e rispetto verso i lettori l’indubbia crisi che scuote il PDL. Credo vengano al pettine due aspetti che vanno affrontati e che non si possono più rinviare: la struttura del partito e la trasparenza.
Un partito può essere “leggero” e fatto più o meno solo di comitati elettorali in occasione delle elezioni (è sostanzialmente il caso americano) o avere una sua gerarchia, delle regole di democrazia interna, delle persone elette ad ogni suo livello, così come per decenni è stato per i partiti “storici” italiani, ma per il PDL è ora di deciderlo o rischia la frammentazione in gruppi e gruppuscoli, “fondazioni” e correnti.
Il PDL non può essere solo un giocattolo nelle mani di Berlusconi che faccia e decida quello che vuole, ma servono regole certe o il giocattolo prima o poi si rompe, qualsiasi sia la buona volontà e il valore del fondatore. Berlusconi non può vedere, conoscere e sapere tutto, occuparsi di governo, riforme, rapporti internazionali e anche di un grande partito composto da persone, sensibilità, provenienze diverse. Servono quindi delle regole, uno statuto vero ed osservato, dei dirigenti eletti (e non sempre nominati) ad ogni livello per permettere il dibattito, la crescita, la nascita di strutture correttamente rappresentative.
Un partito dove ogni iscritto possa legittimamente dire la sua rispettando quella degli altri ed adeguandosi poi al volere della maggioranza. Un partito dove i candidati possano godere di opportunità e non siano nominati dall’altro con il rischio che più del valore personale contino sempre la vicinanza e la sintonia con chi comanda ad ogni livello.
Non si cresce senza regole e - anche se il partito fosse “leggero” - bisogna permettere che la scelta dei candidati avvenga con metodi trasparenti e corretti o – alla lunga – il partito si frantuma.
Secondo aspetto importante quello della trasparenza e debbo ribadire quello che già altre volte ho sostenuto: bisogna avere il coraggio di imporre un approccio corretto a chi fa politica. Il PDL non deve essere un partito dove arriva gente a volte solo spinta dalla voglia di fare affari perché si sta vicini al (presunto) potere. Occorrono anche qui regole chiare e verifiche serie, un “filtro” effettivo nelle iscrizioni, per le candidature e nelle nomine soprattutto là dove è storicamente più facile la contiguità tra gestione del potere e politica, in aree grigie dove poi prospera il torbido. E chi non si comporta bene va espulso per indegnità, non si può sempre assolvere tutti, non si è credibili.
Siamo d’accordo sulla necessità di regolare le intercettazioni e impedirne alcuni tipi di diffusione, ma non si può e non si deve nascondere il fatto che tra di noi c’è evidentemente chi non si comporta bene. Se alcune volte c’è il rischio concreto di un intervento volutamente “politico” di certi Magistrati, occorre però una attenta azione preventiva e immediata di bonifica su intrallazzatori vari che tra di noi non devono starci o il singolo pesce marcio fa puzzare tutti e su questo aspetto bisogna essere sereni, concreti, intransigenti. Non dimentichiamoci che queste cose e questi episodi fanno soprattutto cadere la tensione ideale della gente, la loro voglia di far politica, la credibilità di tutti. Da Berlusconi in giù, insomma, dobbiamo con umiltà darci su queste questioni una chiara ed inequivocabile linea di comportamento.
UN SALUTO E BUONA SETTIMANA A TUTTI ! MARCO ZACCHERA

lunedì 12 luglio 2010

Mondiale 2010 - Spagna Campione del Mondo

Iniesta: "Non ci credo". Del Bosque: "Gioia immensa". I neo campioni del Mondo festeggiano. L'uomo che ha deciso la finale: "Non ci sono parole per esprimere quello che sento. Ma questa vittoria è frutto di un enorme lavoro". Il c.t che ha portato allo storico successo: "Abbiamo mostrato al mondo il nostro grande calcio. Merito di questi magnifici giocatori"
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JOHANNESBURG (Sudafrica), 11 luglio 2010 - E' la storica prima volta: Iker Casillas alza la coppa, tutta la Spagna festeggia in campo, mostrando la stella sulle maglie, rigorosamente rosse. Tante le facce del trionfo, la prima a presentarsi ai microfoni è quella di Vicente Del Bosque, tecnico che entrerà nella storia del calcio spagnolo dopo i trionfi col Real.
Del Bosque mantiene comunque l'aplomb e ringrazia tutti i suoi giocatori: "Dobbiamo tutto a loro, a questi magnifici giocatori. Dopo un primo tempo difficile abbiamo saputo reagire, imporre il nostro gioco e forse avremmo dovuto anche segnare anche prima. Abbiamo avuto delle difficoltà, ma dopo l'occasione di Robben siamo stati superiori". Il popolo spagnolo gli sarà grato: "E saprà anche apprezzare il fatto che abbiamo saputo conquistare questa vittoria con un gruppo che dai grandi valori etici e dai grandi principi. E' una squadra fantastica, una grande generazione che ha lavorato tanto per questo obiettivo. E in futuro potremo vincere ancora". Nessuna dedica: "Mi vengono in mente tante persone a cui dedicare questa vittoria, ma me le tengo per me. E' un momento di grandissima felicità, il calcio spagnolo non era mai riuscito a primeggiare e stasera abbiamo mostrato al mondo il nostro grande calcio".
A decidere la gara è stato Andres Iniesta: il talento del Barcellona ha festeggiato con una dedica speciale per Daniel Jarque, giocatore dell'Espanyol morto l'estate scorsa a Coverciano per un infarto. Dedica nobile, poi la gioia di Iniesta: "E' incredibile, che gioia! Anche per come abbiamo vinto. Non ci sono parole per esprimere quello che sento. Dopo il mio gol ho pensato alla mia famiglia, e tutti quelli che amo. E’ stata una partita durissima, ma ce lo siamo meritato. E’ una cosa che ci ricorderemo per sempre, dobbiamo essere orgogliosi di noi stessi. Ma questa vittoria è frutto di un enorme lavoro".
E arrivano anche le reazioni "reali". La regina Sofia commenta: "Siamo campioni del Mondo, è meraviglioso. Siamo assultamente entusiasti". Segue il principe Felipe: "La finale è andata in maniera perfetta". Sua moglie, la principessa Letizia: "E' un momento di gioia immensa".

Formula Uno 2010 - G. P. di Gran Bretagna

Fernando Alonso: Lotterò fino alla fine
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Più che un sassolino alla fine si è levato un macigno dalla scarpa. Mark Webber non aveva digerito che in qualifica l'ala evoluta fosse stata data a Sebastian Vettel. In gara ha subito tolto la testa al compagno di squadra e poi ha vinto la gara rimettendosi in lizza per il titolo. "Niente male per il pilota numero 2" non ha esitato a dichiarare piuttosto sarcastico dopo il traguardo. La Red Bull aveva minimizzato dicendo che l'ala spettava al pilota più avanti in classifica. Ma la realtà è che tra i due piloti di Christian Horner la bagarre è ormai totale, potrebbe diventare un bel problema da gestire.
"Ieri si è verificata una situazione unica, particolare - ha spiegato Webber dopo la vittoria - ovviamente ero deluso, ci sono rimasto male. Non avrei firmato il prolungamento del contratto se avessi pensato che questa sarebbe stata la situazione in futuro". "Adesso vediamo come andranno le cose - ha proseguito - io continuerò a fare la mia parte, sperando che sia sufficiente. Ho dovuto superare diversi ostacoli nella mia carriera, penso che si possa giudicare il carattere di una persona dal modo in cui affronta le avversità. Io sono in grado di farlo più di altri". Servirà un chiarimento con la squadra: "Sono sicuro che faremo una bella chiacchierata".
Chi di sicuro continua ad avvantaggiarsi di questa lotta fratricida sembra Lewis Hamilton, secondo e saldamente in testa al Mondiale. "Abbiamo raccolto dei punti importanti per la squadra. È un ottimo risultato - ha detto l'inglese della McLaren - la macchina non era veloce come la Red Bull ma abbiamo fatto il meglio e il mio secondo posto è il frutto del duro lavoro della squadra. Webber? Lui e la Red Bull sono semplicemente veloci, bisogna fare loro i complimenti". Tanto in testa al Mondiale c'è lui.
In casa Ferrari si respira invece tutta un'altra aria. Un 14° e un 15° posto sono duri da digerire, specie considerando che la F10 comincia anche a mostrare miglioramenti. Ma senza punti non si va da nessuna parte. E nelle ultime due gare, tra errori, penalità e sfortune, il bilancio è troppo magro. Fernando Alonso ha però smorzato le polemiche per la penalità inflittagli dopo il sorpasso a Kubica. "I commissari sono i nostri arbitri - ha detto - siamo partiti male ritrovandoci quinti dopo la prima curva. Da lì la gara è diventata difficile. Ci sono stati problemi alla partenza in tutto il weekend, è stato difficile trovare le giuste regolazioni della frizione". Lo spagnolo però non si dà per vinto: "Siamo qui per lottare fino all'ultima gara - ha detto - usciamo da Silverstone a testa alta, con il giro veloce in gara. Le modifiche hanno funzionato bene. Sia a Valencia che qui siamo incappati in circostanze sfavorevoli e sfortuna, ma prima o poi i risultati arriveranno". Di umore nero, invece, Felipe Massa: "Negli ultimi GP è successo di tutto - ha detto - dovrò cambiare qualcosa per avere più fortuna nelle prossime gare".
ORDINE DI ARRIVO
01 mark webber AUS Red Bull Racing 1:24:38.200
02 lewis hamilton GB McLaren 0:01.360
03 nico rosberg GER Mercedes 0:21.307
04 jenson button GB McLaren 0:21.986
05 rubens barrichello BRA Williams 0:31.456
06 kamui kobayashi GIA BMW Sauber 0:32.171
07 sebastian vettel GER Red Bull Racing 0:36.734
08 adrian sutil GER Force India F1 0:40.932
09 michael schumacher GER Mercedes 0:41.599
10 nico hulkenberg GER Williams 0:42.012
11 vitantonio liuzzi ITA Force India F1 0:42.459
12 sebastien buemi SVI Toro Rosso 0:47.627
13 vitaly petrov RUS Renault 0:59.374
14 fernando alonso SPA Ferrari 1:02.385
15 felipe massa BRA Ferrari 1:07.489
16 jarno trulli ITA Lotus 1 giro(i)
17 heikki kovalainen FIN Lotus 1 giro(i)
18 timo glock GER Virgin Racing 2 giro(i)
19 karun chandhok IND Hispania Racing 2 giro(i)
20 sakon yamamoto GIA Hispania Racing 2 giro(i)
21 jaime alguersuari SPA Toro Rosso Ritirato
22 pedro de la rosa SPA BMW Sauber Ritirato
23 robert kubica POL Renault Ritirato
24 lucas di grassi BRA Virgin Racing Ritirato
CLASSIFICA PILOTI
CLASSIFICA COSTRUTTORI
01 McLaren 278
02 Red Bull Racing 249
03 Ferrari 165
04 Mercedes 126
05 Renault 89
06 Force India F1 47
07 Williams 31
08 BMW Sauber 15
09 Toro Rosso 10
10 Lotus 00
11 Hispania Racing 00
12 Virgin Racing 00

sabato 10 luglio 2010

Mondiale 2010 - Risultati di Finale e Finalina

Spagna campione del mondo. Storica prima volta: decide Iniesta. La nazionale di Del Bosque batte 1-0 l'Olanda a Johannesburg e conquista la Coppa, impresa che non le era mai riuscita in passato. Nel secondo supplementare, dopo l'espulsione di Heitinga arriva il gol del centrocampista del Barça al 116', a lungo contestato dagli oranje.
I tedeschi invece conquistano il terzo posto al termine di una gara divertentissima. Finisce 3 a 2 con l'Uruguay. Segnano Müller, Cavani, Forlan, Jensen e Khedira. Forlan allo scadere colpisce una clamorosa traversa.
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FINALE DEL MONDIALE DEL SUDAFRICA
11 Luglio 2010 - Ore 20:30 - SPAGNA - OLANDA 1-0

FINALINA PER IL TERZO E QUARTO POSTO
10 Luglio 2010 - Ore 20:30 - GERMANIA - URUGUAY 3-2
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JOHANNESBURG (Sudafrica), 11 luglio 2010 - Campeones. La Spagna è campione del mondo. Grazie ad una rete di Iniesta, che al 116’ trafigge un’Olanda insolitamente sprecona al termine di una partita dura, in qualche circostanza cattiva, col cuore in gola, non bellissima, ma piena di occasioni, nonostante il risultato striminzito. La squadra di Del Bosque firma così una clamorosa doppietta: Europeo più Mondiale, come in passato avevano saputo fare solo Germania e Francia (i trasalpini a rovescio, però, vincendo prima il Mondiale). L’Olanda non riesce a scrollarsi di dosso l’etichetta di magnifica perdente: Robben, il più pericoloso dei suoi, avrà però gli incubi per parecchi giorni dopo aver sprecato l’inverosimile solo davanti ad un favoloso Casillas.
La partita è stata tosta dall’inizio, equilibrata, ed è diventata vibrante con il passare dei minuti, quando la stanchezza ha aperto gli spazi e le difese. Allora le occasioni sono arrivate. Tante, ma non concretizzate. All’undicesimo cartellino giallo (poi ne sono arrivati altri tre) è uscito dal taschino dell’arbitro inglese Webb anche quello rosso, ad Heitinga. Che può aver fatto la differenza.
La Roja parte al galoppo. Spingendo forte sulla destra, con Sergio Ramos, che quando può scatenare la progressione fa paura. E va vicino al gol due volte: prima di testa (bravo Stekelenburg), poi con un tiro-cross che Heitinga chiude in angolo davanti alla porta vuota. La Spagna continua a spingere, vede le crepe che si aprono in mezzo alla difesa arancione che si apre ad ogni affondo. Vulnerabile da non crederci. E così è Villa a provarci con un sinistro al volo che colpisce l’esterno della rete e fa gridare al gol la ridotta porzione di stadio che tifa per gli spagnoli. Il primo quarto d’ora è tutto Spagna, dunque, che però, come spesso le accade, non concretizza quanto creato.
Dopo aver resistito in apnea, l’Olanda infatti riemerge da sott’acqua. Solida nel mezzo, cattiva quando occorre, e anche non occorrerebbe. Fioccano i cartellini gialli: 4 in poco più di 20’. E De Jong poi rischia il rosso per un’entrataccia su Xabi Alonso. La gara diventa muscolare, la Spagna non ha colto l’attimo. E ora regna l’equilibrio. Chiude il tempo meglio la rinfrancata squadra di Van Marwijk. Che sfiora la beffa con Heitinga, che nel restituire palla agli spagnoli "rischia" di trafiggere Casillas, che valuta male il rimbalzo. L’unica palla gol per gli oranje arriva così: è tutto dire. All’intervallo è 0-0.
Le squadre rientrano in campo con gli stessi 11 di partenza. E la gara stenta a decollare. Poco calcio, tanti calci. Poi Sneijder, dopo aver giocato a nascondino, si ricorda di essere il valore aggiunto dei suoi. Inventa un’apertura deliziosa, col contagiri, per Robben, che lascia di stucco la difesa spagnola, ma solo davanti a Casillas si fa ipnotizzare dal capitano spagnolo. Strepitoso. Una parata che vale un gol. E’ il 17’ del secondo tempo, spartiacque della gara.
La Spagna replica con Villa, che sfiora il vantaggio dopo un erroraccio di Heitinga. La gara è bruttina, giocata soprattutto sui nervi. Dura, spigolosa. C’è anche paura, adesso, perché un errore può essere fatale. La squadra di Del Bosque va vicina all’1-0 con Sergio Ramos, il più pericoloso dei suoi, che solissimo a centroarea di testa mette alto. Non ha avuto come Robben il tempo di pensarci su, ma lo spreco è da mani nei capelli. Uno spreco per uno. E sempre 0-0. Nel finale c’è un’altra fiammata di Robben, un razzo, che scherza Puyol in velocità ma Casillas gli chiude ancora la porta. E’ il duello più bello della partita. Al 93’ è ancora 0-0. Supplementari.
La stanchezza diventa un fattore. E rende la gara divertente. Perché le squadre si allungano, la lucidità viene meno, gli spazi si aprono. Fabregas e Mathijsen si mangiano un gol a testa nello spazio di un minuto. Poi Navas, peperino indiavolato sulla destra, colpisce l’esterno della rete. Tanti errori, ma la gara è finalmente divertente. All’inizio del secondo tempo Heitinga, pessimo, viene espulso per doppia ammonizione: secondo giallo per fallo su Iniesta. Van Bommel scala centrale. Ma non riesce a fermare Iniesta, che lanciato da Fabregas, segna il gol che vale una carriera. Proteste a non finire degli oranje (lamentano la mancata concessione di un corner pochi istanti prima, sugli sviluppi di una punizione di Sneijder), mentre il "manchego" festeggia la sua prodezza. Quella che regala alla Spagna il suo primo titolo mondiale.
PORT ELIZABETH (Sudafrica), 10 luglio 2010 - La chiamano finalina. Però è stata una delle gare più divertenti di tutto il Mondiale. Perché è una gara che tutti giocano a mille, senza troppi pensieri. Spesso le partite che valgono il terzo posto mondiale sono vivaci e zeppe di gol. Germania e Uruguay non è stata da meno: finisce 3-2 per i tedeschi, con la Celeste condannata dalla rete di Khedira. Tre europee sul tetto del mondo, dunque.
La Germania, con il malconcio Klose rimasto in panchina, parte meglio e al 10' colpisce una traversa grazie al colpo di testa di Friedrich, imbeccato al meglio di Özil su calcio d'angolo. L'Uruguay si sveglia dopo il pericolo scampato con Fucile (tra i migliori della Celeste) che in un paio di occasioni semina il panico nell'area avversaria. Ma al 19' sono i tedeschi a trovare il vantaggio: tiro dalla distanza del solito Schweinsteiger, Muslera respinge centrale e sul pallone si avventa senza fare troppi complimenti Thomas Müller. La sua botta è imprendibile, ma il portierino della Lazio ha sul groppone un bell'errore. Il primo... La Germania ci crede e cerca la conclusione prima con Khedira e poi con Jensen. Ma la Celeste non molla. Prima Mertesacker intercetta il colpo di testa di Forlan, poi è Cavani a trovare il pari grazie alla sua prima rete in Sudafrica. Al 28' Schweinsteiger si fa rubare palla da Perez, assist per Suarez che serve alla perfezione l'attaccante del Palermo: il suo destro sul secondo palo non perdona. È 1-1. L'Uruguay potrebbe anche andare in vantaggio quando Suarez sorprende la difesa tedesca e conclude di poco fuori.
Il secondo tempo è ancora più vivace del primo. La Celeste parte a mille e impegna subito Butt in una doppia parata prima su Cavani e poi su Suarez. Al 6' Forlan vede partire il cross di Arevalo, si coordina e in mezza rovesciata realizza uno dei gol più belli di questo Mondiale. Uruguay in vantaggio. Ma i ragazzini di Löw sono pronti a dare battaglia. Soprattutto se possono sfruttare la serata no di Fernando Muslera. Il portiere della Lazio, che aveva concluso la prima fase senza subire rete, è infatti colpevole anche sul secondo gol tedesco: all'11' cross di Boateng, Muslera esce a vuoto e Jansen di testa appoggia a rete. La partita è vivace, anche piuttosto dura. La Germania chiede una punizione per un retropassaggio di Fucile che Muslera blocca con le mani. L'arbitro non fischia. Ma ci poteva stare. Al 37' la Germania sfrutta al meglio un calcio d'angolo: dopo una un paio di rimpalli la palla arriva sulla testa di Khedira che trova il gol, e stavolta Muslera non ha colpe. La gara sembra concludersi qui ma due minuti dopo il novantesimo l'arbitro Archundia fischia una punizione per l'Uruguay dalla lunetta: Forlan tira pià forte che può, la palla termina sulla traversa e insieme a lei terminano i sogni della Celeste.

venerdì 9 luglio 2010

Il polpo Paul: Spagna campione, Germania terza

Gli ultimi pronostici sul Mondiale del cefalopode di Oberhausen che ha origini italiane. Fin qui ha totalizzato percorso netto. Per la finalissima di domenica Paul prevede la vittoria degli spagnoli contro gli olandesi. Per la finale di consolazione fiducia ai tedeschi contro l'Uruguay
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Oberhausen - La prima notizia è che non l'hanno fatto in insalata. La seconda sono gli ultimi vaticini del polpo Paul per gli ultimi due atti del Mondiale. Vincerà la Spagna nella finalissima di Johannesburg contro l'Olanda. Ai tedeschi una piccola consolazione: il cefalopode infatti ha previsto il successo della Germania di Loew nella finalina di consolazione per il terzo posto contro l'Uruguay di Tabarez.
Percorso netto - Finora il polpo ha predetto correttamente tutti i risultati della Germania nella rassegna iridata. L'ultimo errore a memoria d'uomo è quello della finale degli Europei 2008 (disse Germania, vinse la Spagna). La tecnica è la solita. Due vasche piene di molluschi, dipinte all'esterno con la bandiera delle due nazionali in gara.
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Il polpo Paul è italiano: «Fu catturato all'isola d'Elba»
La rivelazione dell'istruttrice sul cefalopode
indovino: «L'ho pescato io con le mie mani»
Nel suo piccolo, l'Italia è protagonista anche al Mondiale di calcio del 2010: il polpo Paul, l'incredibile cefalopode indovino che ha inanellato una serie impressionante di risultati azzeccati alla rassegna sudafricana (sette su sette prima della finale, in cui ha pronosticato la Spagna), non è inglese ma italiano. L'oracolo - che a questo punto dovrebbe chiamarsi «Paolo» - sarebbe infatti originario dell'isola d'Elba, secondo quanto sostiene l'istruttrice del più famoso polpo al mondo.
Verena Bartsch in un'intervista al Bild am Sonntag sostiene infatti di averlo catturato con le proprie mani ad aprile nelle acque dell'isola toscana, quando aveva appena quattro settimane e non era più lungo di 10 centimetri. La Bartsch smentisce quindi la biografia ufficiale fornita dall'acquario Sea Life di Oberhausen che voleva Paul originario di Weymounth, in Inghilterra, e di due anni e mezzo di età. Quell'età, tra l'altro, è il presupposto su cui si basa la versione dell'acquario secondo cui era Paul il polpo-oracolo del 2008 che azzeccò tutti i risultati della Germania agli ultimi Europei sbagliando solo sull'esito della finale, vinta dalla Spagna contro i tedeschi. Secondo la Bartsch, Paul era stato «parcheggiato» in acquario a Coburg e poi venduto per 179 euro a quello di Oberhausen, dove lei lo ha addestrato.