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È bastato poco al suo capo, Antonio Laudati, giunto alla guida degli inquirenti del capoluogo pugliese nel settembre scorso, per capire che la vicenda della escort approdata nell’autunno 2008, con registratore annesso, a Palazzo Grazioli, residenza del Premier, meritava di essere approfondita.Laudati, affilato e distinto, è un magistrato che ha maturato una grande esperienza sul fronte delle indagini antimafia e che si è formato con personaggi del calibro del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Una palestra dove ha appreso quel metodo investigativo puntiglioso che, per giungere alle conclusioni, si basa sui fatti e sull’analisi di tutti i particolari che gravitano intorno a essi. E questa tecnica antimafia, che porta sotto la lente d’ingrandimento dettagli apparentemente insignificanti, ha dato i suoi frutti.
Da quanto Panorama è in grado di ricostruire, da qui a poco ci sarà un terremoto giudiziario destinato a minare nelle fondamenta il castello costruito intorno alle presunte rivelazioni di D’Addario e del suo mentore, l’imprenditore Gianpaolo Tarantini. Al fascicolo, seguito direttamente da Laudati, lavorano anche i sostituti procuratori Giuseppe Dentamaro e Teresa Iodice. Si tratta di un fascicolo che tecnicamente va sotto la sigla di modello 21: vi sono cioè degli indagati e sono almeno una dozzina. Tra le persone finite sotto quella lente d’ingrandimento c’è sicuramente Patrizia D’Addario. Di più: la escort è il personaggio chiave.
Impossibile conoscere i dettagli dell’inchiesta, ma dalle strettissime maglie della rete di silenzio che per mesi l’ha ingabbiata alcune informazioni trapelano. I magistrati si sono concentrati sulla genesi del rapporto tra D’Addario e Tarantini. Hanno accertato che a presentarla all’imprenditore barese fu l’ex socio Massimiliano Verdoscia, arrestato in agosto per spaccio, che a sua volta conobbe la escort proprio per la sua attività di prostituta.La conclusione sorprendente cui sono arrivati gli inquirenti è che D’Addario, prostituta ben nota alle forze dell’ordine (per le continue risse e per le schermaglie legali con il suo protettore), esperta di registrazioni e di videoriprese, sarebbe stata selezionata e successivamente “consegnata” a Tarantini. Proprio così: “selezionata” affinché portasse a termine una missione, quella di compromettere la reputazione del presidente del Consiglio, mettendolo politicamente in difficoltà.
Già, ma chi l’ha selezionata? Questo è lo snodo centrale dell’inchiesta in cui compaiono a vario titolo magistrati, politici, giornalisti e professionisti della Bari che conta. A breve, nei confronti di alcuni giudici che avrebbero partecipato a quello che appare come un vero e proprio complotto ai danni del premier dovrebbe scattare un procedimento parallelo che, secondo quanto stabilito dall’articolo 11 del Codice di procedura penale, sarà affidato alla procura di Lecce, competente a indagare sulle toghe del capoluogo pugliese.Non solo, è facile prevedere che, non appena la bomba esploderà, anche la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura dovrà occuparsi di alcuni aspetti definiti da un investigatore “molto imbarazzanti”.
Fra gli attori del “complotto” su cui si stanno concentrando gli inquirenti guidati dal procuratore Laudati un ruolo non secondario lo avrebbero recitato alcuni giornalisti, ai quali sarebbero state passate notizie allo scopo di alimentare il clima a sostegno della tesi di D’Addario. Alcuni articoli sarebbero stati persino utilizzati per indirizzare le indagini. Ora la procura sta cercando i suggeritori di quelle cronache. Secondo quanto risulta a Panorama, il filone relativo alla fuga di notizie è prossimo alla conclusione e sarebbero già pronte le richieste di misure cautelari per diversi personaggi, compresi alcuni appartenenti alle forze dell’ordine.
Certo, non è facile districarsi nel labirinto del malaffare di Puglia. Perché i vari fascicoli d’indagine sono come vasi comunicanti che alcune volte si scambiano i fluidi contenuti. In una sorta di entropia velenosa. E così l’inchiesta D’Addario-fughe di notizie si mescola con quella sulle tangenti nella sanità: un procedimento in cui, dopo gli arresti di metà gennaio, fra gli altri, dell’avvocato Lea Cosentino, ex direttore generale dell’azienda sanitaria di Bari, e di Antonio Colella, in passato dirigente dell’area patrimonio della asl, e il coinvolgimento dell’ex vicepresidente regionale del Pd Sandro Frisullo, sono attesi tempestivi sviluppi. Infatti sono al vaglio del giudice per le indagini preliminari ulteriori provvedimenti restrittivi nei confronti di politici e imprenditori regionali.
Ma torniamo al “complotto”. Su Patrizia D’Addario sono state avviate da mesi analisi patrimoniali che hanno riservato non poche sorprese. La escort, infatti, secondo le verifiche degli investigatori, sarebbe risultata intestataria di numerosi conti correnti, direttamente o attraverso prestanome. Nel corso di questi accertamenti sarebbero emersi quelli che vengono definiti “elementi interessanti” nei confronti di alcuni familiari di D’Addario.Ad attirare l’attenzione degli inquirenti, in particolare, sono stati alcuni movimenti di denaro di entità rilevante, registrati prima e dopo che lo scandalo alimentato dalla escort è finito sui giornali. In procura indagano anche su un’ingente somma in contanti, si parla di 1,5 milioni di euro, che dall’Italia nel febbraio 2008 (otto mesi prima della visita a Palazzo Grazioli) sarebbe stata trasferita a Doha, capitale del Qatar. A trasportare fisicamente questa montagna di soldi sarebbe stata la stessa D’Addario, durante un viaggio di cui i magistrati hanno trovato i riscontri. A che cosa servivano quei denari?
Gli investigatori stanno valutando più ipotesi: dalla creazione di una provvista in nero fino al pagamento di alcune mazzette trasferite all’estero per conto di imprenditori o di politici. La documentazione bancaria necessaria a definire i contorni di questa vicenda non è ancora stata acquisita completamente, ma, per avere un quadro più chiaro, non occorrerà attendere molto.“Siamo all’inizio dell’opera” si schermisce un investigatore. Eppure, bastano queste indiscrezioni a offrire una chiave di lettura ben diversa da quella che finora è stata proposta all’opinone pubblica del cosiddetto affaire D’Addario. Chi indaga è convinto che Tarantini non sia la mente, ma soltanto un terminale di questo progetto: un uomo interessato e disposto a tutto pur di mettere le mani su alcuni affari. In particolare quelli che ruotavano intorno alla Protezione civile e alle commesse affidate senza gare d’appalto, per esempio, che inutilmente cercò di conquistare dopo essere riuscito a entrare in contatto con il presidente Berlusconi.
Per ingraziarsi il premier, Tarantini avrebbe investito oltre 5 milioni di euro. Soldi spesi per cucirsi addosso l’immagine di un giovane imprenditore facoltoso e credibile. Capace di sperperare mezzo milione di euro in un mese per organizzare party e affittare una villa in Sardegna, nei pressi della residenza estiva del Cavaliere, per ottenere così di essergli presentato.Gli inquirenti hanno ricostruito quello che, senza alcun intento offensivo, hanno definito il “metodo pugliese”. Si tratta di un simulacro della realtà, un mondo fatuo in cui le apparenze diventano sostanza, tra feste da mille e una notte, belle donne disponibili e (all’occorrenza) cocaina.
La corruzione si realizzerebbe attraverso l’erogazione di questi particolarissimi “fringe benefit”: i politici, gli amministratori non ricevono un compenso in denaro o beni, ma usufruiscono di favori soprattutto di origine sessuale. Come avrebbe dimostrato proprio il filone della sanità pugliese. Metodo che qualcuno ha cercato di replicare a livello nazionale, puntando al “bersaglio grosso”: il presidente del Consiglio, Berlusconi.D’Addario sarebbe stata quindi un’arma non convenzionale, gestita in prima battuta da Tarantini, ma in realtà manovrata da ben più potenti politici. L’ipotesi del complotto, secondo i magistrati, sarebbe confermata dalle spese sopportate da Tarantini per conoscere Berlusconi a fronte di vantaggi praticamente nulli.
E qui ci si addentra nella parte più delicata dell’indagine. Chi sono, allora, i burattinai dell’affaire D’Addario? È logico pensare, seguendo il ragionamento della procura, che questi vadano ricercati nel campo avverso al Popolo della libertà.Gli inquirenti si sono già fatti un’idea, sorretta da alcuni riscontri e intercettazioni. Impossibile, però, saperne di più. Quel che è certo è che per sbrogliare questa matassa un’attenzione particolare è stata dedicata ai viaggi compiuti da Patrizia D’Addario dall’inizio dello scandalo e in particolare le sue trasferte in Francia, Spagna, Brasile, Gran Bretagna, Cina ed Emirati Arabi. Trasferte che sarebbero state gestite da alcuni intermediari internazionali, diretti a loro volta da politici italiani rimasti per ora nell’ombra.
L’obiettivo della tournée estera di D’Addario altro non sarebbe se non fare da grancassa allo scandalo sessuale e ridicolizzare oltreconfine Berlusconi. Insomma, sarebbe l’ultimo tassello di un piano architettato sin dall’inizio per screditare l’immagine del premier.Per questo il fascicolo processuale, ancora in divenire, ipotizza oggi l’associazione per delinquere finalizzata alla falsa produzione di documenti a uso processuale. Ma in futuro potrebbe anche approdare all’estrema gravità dell’articolo 289 del Codice penale: l’attentato contro gli organi costituzionali dello Stato. Pur muovendosi con estrema prudenza, la procura di Bari ipotizza infatti una vera e propria associazione per delinquere che avrebbe organizzato un complotto istituzionale, immettendo nel circuito dell’informazione notizie manipolate per ottenere un risultato politico.
Con una banda di cospiratori che avrebbe fabbricato falsi documenti con l’obiettivo d’inquinare l’inchiesta, usando come cinghia di trasmissione alcuni giornali. E il ruolo cruciale della stampa in questa vicenda è sottolineato dal retroscena della prima intervista di D’Addario: la donna sarebbe stata anche convinta a rinunciare all’accordo con il settimanale Oggi per essere indirizzata verso il Corriere della sera. La sua prima intervista esclusiva vi comparve il 17 giugno 2009.
Sono quattro, in conclusione, i fronti giudiziari (tutti comunicanti) aperti a Bari: riguardano le presunte tangenti nel sistema sanitario regionale, le attività illecite di Gianpaolo Tarantini, la costruzione e la gestione dell’affaire D’Addario e le fughe di notizie legate alle deposizioni della escort e di altri protagonisti. Un tema, quest’ultimo, particolarmente curato da Laudati, che, coincidenza per nulla strana, il giorno del suo insediamento venne salutato dalla pubblicazione dei verbali riservati di Tarantini: accadeva il 9 settembre del 2009.
Da allora diverse cose sono cambiate nella procura del capoluogo pugliese. E in molti, presto, se ne accorgeranno.
(1 - continua)
(Giacomo Amadori - Panorama)
Venerdì 29 Gennaio 2010
Da quanto Panorama è in grado di ricostruire, da qui a poco ci sarà un terremoto giudiziario destinato a minare nelle fondamenta il castello costruito intorno alle presunte rivelazioni di D’Addario e del suo mentore, l’imprenditore Gianpaolo Tarantini. Al fascicolo, seguito direttamente da Laudati, lavorano anche i sostituti procuratori Giuseppe Dentamaro e Teresa Iodice. Si tratta di un fascicolo che tecnicamente va sotto la sigla di modello 21: vi sono cioè degli indagati e sono almeno una dozzina. Tra le persone finite sotto quella lente d’ingrandimento c’è sicuramente Patrizia D’Addario. Di più: la escort è il personaggio chiave.
Impossibile conoscere i dettagli dell’inchiesta, ma dalle strettissime maglie della rete di silenzio che per mesi l’ha ingabbiata alcune informazioni trapelano. I magistrati si sono concentrati sulla genesi del rapporto tra D’Addario e Tarantini. Hanno accertato che a presentarla all’imprenditore barese fu l’ex socio Massimiliano Verdoscia, arrestato in agosto per spaccio, che a sua volta conobbe la escort proprio per la sua attività di prostituta.La conclusione sorprendente cui sono arrivati gli inquirenti è che D’Addario, prostituta ben nota alle forze dell’ordine (per le continue risse e per le schermaglie legali con il suo protettore), esperta di registrazioni e di videoriprese, sarebbe stata selezionata e successivamente “consegnata” a Tarantini. Proprio così: “selezionata” affinché portasse a termine una missione, quella di compromettere la reputazione del presidente del Consiglio, mettendolo politicamente in difficoltà.
Già, ma chi l’ha selezionata? Questo è lo snodo centrale dell’inchiesta in cui compaiono a vario titolo magistrati, politici, giornalisti e professionisti della Bari che conta. A breve, nei confronti di alcuni giudici che avrebbero partecipato a quello che appare come un vero e proprio complotto ai danni del premier dovrebbe scattare un procedimento parallelo che, secondo quanto stabilito dall’articolo 11 del Codice di procedura penale, sarà affidato alla procura di Lecce, competente a indagare sulle toghe del capoluogo pugliese.Non solo, è facile prevedere che, non appena la bomba esploderà, anche la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura dovrà occuparsi di alcuni aspetti definiti da un investigatore “molto imbarazzanti”.
Fra gli attori del “complotto” su cui si stanno concentrando gli inquirenti guidati dal procuratore Laudati un ruolo non secondario lo avrebbero recitato alcuni giornalisti, ai quali sarebbero state passate notizie allo scopo di alimentare il clima a sostegno della tesi di D’Addario. Alcuni articoli sarebbero stati persino utilizzati per indirizzare le indagini. Ora la procura sta cercando i suggeritori di quelle cronache. Secondo quanto risulta a Panorama, il filone relativo alla fuga di notizie è prossimo alla conclusione e sarebbero già pronte le richieste di misure cautelari per diversi personaggi, compresi alcuni appartenenti alle forze dell’ordine.
Certo, non è facile districarsi nel labirinto del malaffare di Puglia. Perché i vari fascicoli d’indagine sono come vasi comunicanti che alcune volte si scambiano i fluidi contenuti. In una sorta di entropia velenosa. E così l’inchiesta D’Addario-fughe di notizie si mescola con quella sulle tangenti nella sanità: un procedimento in cui, dopo gli arresti di metà gennaio, fra gli altri, dell’avvocato Lea Cosentino, ex direttore generale dell’azienda sanitaria di Bari, e di Antonio Colella, in passato dirigente dell’area patrimonio della asl, e il coinvolgimento dell’ex vicepresidente regionale del Pd Sandro Frisullo, sono attesi tempestivi sviluppi. Infatti sono al vaglio del giudice per le indagini preliminari ulteriori provvedimenti restrittivi nei confronti di politici e imprenditori regionali.
Ma torniamo al “complotto”. Su Patrizia D’Addario sono state avviate da mesi analisi patrimoniali che hanno riservato non poche sorprese. La escort, infatti, secondo le verifiche degli investigatori, sarebbe risultata intestataria di numerosi conti correnti, direttamente o attraverso prestanome. Nel corso di questi accertamenti sarebbero emersi quelli che vengono definiti “elementi interessanti” nei confronti di alcuni familiari di D’Addario.Ad attirare l’attenzione degli inquirenti, in particolare, sono stati alcuni movimenti di denaro di entità rilevante, registrati prima e dopo che lo scandalo alimentato dalla escort è finito sui giornali. In procura indagano anche su un’ingente somma in contanti, si parla di 1,5 milioni di euro, che dall’Italia nel febbraio 2008 (otto mesi prima della visita a Palazzo Grazioli) sarebbe stata trasferita a Doha, capitale del Qatar. A trasportare fisicamente questa montagna di soldi sarebbe stata la stessa D’Addario, durante un viaggio di cui i magistrati hanno trovato i riscontri. A che cosa servivano quei denari?
Gli investigatori stanno valutando più ipotesi: dalla creazione di una provvista in nero fino al pagamento di alcune mazzette trasferite all’estero per conto di imprenditori o di politici. La documentazione bancaria necessaria a definire i contorni di questa vicenda non è ancora stata acquisita completamente, ma, per avere un quadro più chiaro, non occorrerà attendere molto.“Siamo all’inizio dell’opera” si schermisce un investigatore. Eppure, bastano queste indiscrezioni a offrire una chiave di lettura ben diversa da quella che finora è stata proposta all’opinone pubblica del cosiddetto affaire D’Addario. Chi indaga è convinto che Tarantini non sia la mente, ma soltanto un terminale di questo progetto: un uomo interessato e disposto a tutto pur di mettere le mani su alcuni affari. In particolare quelli che ruotavano intorno alla Protezione civile e alle commesse affidate senza gare d’appalto, per esempio, che inutilmente cercò di conquistare dopo essere riuscito a entrare in contatto con il presidente Berlusconi.
Per ingraziarsi il premier, Tarantini avrebbe investito oltre 5 milioni di euro. Soldi spesi per cucirsi addosso l’immagine di un giovane imprenditore facoltoso e credibile. Capace di sperperare mezzo milione di euro in un mese per organizzare party e affittare una villa in Sardegna, nei pressi della residenza estiva del Cavaliere, per ottenere così di essergli presentato.Gli inquirenti hanno ricostruito quello che, senza alcun intento offensivo, hanno definito il “metodo pugliese”. Si tratta di un simulacro della realtà, un mondo fatuo in cui le apparenze diventano sostanza, tra feste da mille e una notte, belle donne disponibili e (all’occorrenza) cocaina.
La corruzione si realizzerebbe attraverso l’erogazione di questi particolarissimi “fringe benefit”: i politici, gli amministratori non ricevono un compenso in denaro o beni, ma usufruiscono di favori soprattutto di origine sessuale. Come avrebbe dimostrato proprio il filone della sanità pugliese. Metodo che qualcuno ha cercato di replicare a livello nazionale, puntando al “bersaglio grosso”: il presidente del Consiglio, Berlusconi.D’Addario sarebbe stata quindi un’arma non convenzionale, gestita in prima battuta da Tarantini, ma in realtà manovrata da ben più potenti politici. L’ipotesi del complotto, secondo i magistrati, sarebbe confermata dalle spese sopportate da Tarantini per conoscere Berlusconi a fronte di vantaggi praticamente nulli.
E qui ci si addentra nella parte più delicata dell’indagine. Chi sono, allora, i burattinai dell’affaire D’Addario? È logico pensare, seguendo il ragionamento della procura, che questi vadano ricercati nel campo avverso al Popolo della libertà.Gli inquirenti si sono già fatti un’idea, sorretta da alcuni riscontri e intercettazioni. Impossibile, però, saperne di più. Quel che è certo è che per sbrogliare questa matassa un’attenzione particolare è stata dedicata ai viaggi compiuti da Patrizia D’Addario dall’inizio dello scandalo e in particolare le sue trasferte in Francia, Spagna, Brasile, Gran Bretagna, Cina ed Emirati Arabi. Trasferte che sarebbero state gestite da alcuni intermediari internazionali, diretti a loro volta da politici italiani rimasti per ora nell’ombra.
L’obiettivo della tournée estera di D’Addario altro non sarebbe se non fare da grancassa allo scandalo sessuale e ridicolizzare oltreconfine Berlusconi. Insomma, sarebbe l’ultimo tassello di un piano architettato sin dall’inizio per screditare l’immagine del premier.Per questo il fascicolo processuale, ancora in divenire, ipotizza oggi l’associazione per delinquere finalizzata alla falsa produzione di documenti a uso processuale. Ma in futuro potrebbe anche approdare all’estrema gravità dell’articolo 289 del Codice penale: l’attentato contro gli organi costituzionali dello Stato. Pur muovendosi con estrema prudenza, la procura di Bari ipotizza infatti una vera e propria associazione per delinquere che avrebbe organizzato un complotto istituzionale, immettendo nel circuito dell’informazione notizie manipolate per ottenere un risultato politico.
Con una banda di cospiratori che avrebbe fabbricato falsi documenti con l’obiettivo d’inquinare l’inchiesta, usando come cinghia di trasmissione alcuni giornali. E il ruolo cruciale della stampa in questa vicenda è sottolineato dal retroscena della prima intervista di D’Addario: la donna sarebbe stata anche convinta a rinunciare all’accordo con il settimanale Oggi per essere indirizzata verso il Corriere della sera. La sua prima intervista esclusiva vi comparve il 17 giugno 2009.
Sono quattro, in conclusione, i fronti giudiziari (tutti comunicanti) aperti a Bari: riguardano le presunte tangenti nel sistema sanitario regionale, le attività illecite di Gianpaolo Tarantini, la costruzione e la gestione dell’affaire D’Addario e le fughe di notizie legate alle deposizioni della escort e di altri protagonisti. Un tema, quest’ultimo, particolarmente curato da Laudati, che, coincidenza per nulla strana, il giorno del suo insediamento venne salutato dalla pubblicazione dei verbali riservati di Tarantini: accadeva il 9 settembre del 2009.
Da allora diverse cose sono cambiate nella procura del capoluogo pugliese. E in molti, presto, se ne accorgeranno.
(1 - continua)
(Giacomo Amadori - Panorama)
Venerdì 29 Gennaio 2010
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È sabato 30 gennaio ed è appena terminata la cerimonia d’inaugurazione dell’anno giudiziario. Al quarto piano della procura di Bari il capo dell’ufficio, Antonio Laudati, si ritrova a faccia a faccia con alcuni dei suoi sostituti. Sul tavolo l’ultima copertina di Panorama intitolata “Il complotto”. Ventiquattr’ore prima la stessa procura, dopo avere esaminato il testo con puntiglio da esegeti, si era limitata a escludere, in una nota ufficiale, che fosse iscritta una notizia di reato che riguarda “accordi fraudolenti miranti a una calunniosa rappresentazione processuale”.Dietro il criptico linguaggio giuridico si celava ciò che i magistrati non potevano smentire: l’esistenza di un’inchiesta che, come vedremo tra poco, ruota intorno a Patrizia D’Addario, la escort di Palazzo Grazioli, e si muove su tre livelli, legati fra loro da diversi filoni, ipotizzando, al termine di questo percorso, un “complotto” contro il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
Infatti le varie inchieste portano a una conclusione univoca: l’affaire D’Addario ha una genesi tutt’altro che lineare e nasconde, secondo gli inquirenti, una precisa regia. Da tempo i magistrati fanno ipotesi su chi possa averla gestita, ma per non vanificare il lavoro sin qui svolto, e correre il pericolo di essere accusati di costruire teoremi fantasiosi, hanno scelto di inabissarsi come un sommergibile. Sino alle prossime, imminenti misure cautelari.Certamente a Bari la D’Addario è indagata per associazione per delinquere. Non è la sola, con lei sono finite sotto inchiesta una dozzina di persone. Il reato associativo è una cornice che serve al procuratore Laudati e ai sostituti che lo affiancano, Giuseppe Dentamaro e Teresa Iodice, per poter investigare ad ampio raggio.
Il nome della D’Addario, prima dello scandalo politico, era noto in tribunale per la ventina di procedimenti pendenti in cui è coinvolta sia come parte offesa sia, e sono la maggior parte, come indagata o imputata. Nella primavera 2009 hanno iniziato a interessarsi a lei anche Pino Scelsi ed Eugenia Pontassuglia, pm della Direzione distrettuale antimafia, nell’ambito di un’indagine di criminalità organizzata avviata per capire se esistesse un collegamento tra la malavita e il reclutamento delle prostitute, come lasciava supporre un attentato subito da un’amica di Patrizia D’Addario legata a un membro del clan Parisi (uno dei gruppi più temuti della criminalità barese).
Nella prima metà di giugno la escort si reca in procura per raccontare la sua notte a Palazzo Grazioli. Qualche settimana dopo incappa nell’indagine sulla fuga di notizie e sulla genuinità delle registrazioni audio effettuate nella dimora del premier. Infatti gli inquirenti si accorgono che il contenuto delle trascrizioni dei nastri consegnati nelle redazioni non corrisponde a quello delle bobine in possesso della procura, segno questo di una possibile strumentalizzazione delle informazioni. Ma fermiamoci un attimo.
Questo è il primo livello dell’inchiesta e ha come tappa finale l’individuazione dei pubblici ufficiali che sono all’origine delle falle nel segreto istruttorio. Non soltanto per le registrazioni della D’Addario, ma anche per la pubblicazione dei verbali secretati di Gianpaolo Tarantini. Su questo versante, secondo quanto risulta a Panorama, l’accusa avrebbe raccolto riscontri inconfutabili.
Tra giugno e settembre 2009 (dal periodo delle prime fughe di notizie su Patrizia D’Addario a quelle su Tarantini) sarebbero stati compiuti diversi passi falsi da parte di giornalisti e investigatori. Inciampi per cui nessuno dei detective, per ora, è stato trasferito, nonostante siano stati immortalati da foto e videotape che proverebbero bugie e responsabilità.Per conoscere i nomi di questi servitori dello Stato infedeli non sarà necessario attendere molto: le richieste di misure cautelari o interdittive, infatti, saranno esaminate dall’ufficio del giudice delle indagini preliminari. I provvedimenti non riguarderanno figure di secondo piano ma toccheranno tra gli altri ufficiali della Guardia di finanza e dei carabinieri. Questo snodo sarà fondamentale.Quando infatti sarà acclarato che, come ipotizzano gli inquirenti sulla scorta di numerosi atti compiuti nell’arco di sei mesi, il flusso di notizie coperte da segreto si inserisce in una strategia mirata a screditare il presidente del Consiglio, l’inchiesta potrà considerare individuato il primo livello e puntare a quello successivo al centro del quale c’è la D’Addario.
L’estate scorsa il suo ex amante e protettore, Giuseppe Barba, l’ha denunciata per stalking e durante la sua deposizione fiume del 5 agosto il pm Dentamaro, di nuovo lui (e non è un caso), ha trovato lo spunto per aprire un nuovo filone d’indagine, quello incardinato, per ora, solo su un’ipotesi di associazione per delinquere. La notizia di reato è un presunto trasferimento di 1,5 milioni di euro dall’Italia al Qatar. Dentamaro, specializzato in fascicoli riguardanti le cosiddette fasce deboli, conosce benissimo la D’Addario e le ha dato credito in un processo, facendo condannare Barba nel 2006 per favoreggiamento della prostituzione. Questo non gli ha impedito, due anni dopo, il 3 luglio 2008, in occasione della richiesta di archiviazione per una denuncia, di ricredersi sul conto della donna e di liquidarla con queste parole: “Può validamente affermarsi che risulta compromessa l’intera credibilità della suddetta”.
Il magistrato, dopo avere trovato i riscontri al viaggio della signora nella Penisola arabica, adesso vuole capire se anche le restanti dichiarazioni di Barba siano plausibili. Resta da scoprire perché la D’Addario avrebbe trasportato soldi all’estero: per costituire fondi neri? Per trasferire oltreconfine le mazzette incassate da eventuali amici politici? O magari per ripulire capitali di provenienza illecita? A dicembre, a Bari, un’imponente inchiesta antiriciclaggio ha portato all’arresto di un’ottantina di persone, molte legate al già citato clan Parisi. Un filone che non ha ancora finito di riservare sorprese.
Certamente la donna, nonostante le dichiarazioni dei redditi da indigente, negli ultimi mesi è al centro di accertamenti finanziari capillari che hanno permesso di appurare l’esistenza di numerosi conti correnti italiani ed esteri riferibili direttamente a lei, ai parenti più stretti o a prestanome. In particolare gli investigatori hanno puntato gli occhi su un tesoretto depositato presso una banca italiana, un gruzzolo non lontano da 1 milione di euro che sarebbe affluito negli ultimi mesi. Una ricchezza che per gli inquirenti non può essere giustificata con l’improvvisa notorietà della signora, anche perché lei, nella sua recente autobiografia, giura di non essersi mai fatta pagare per le interviste.
In procura sospettano che tutti quei soldi possano essere il premio per il ruolo recitato in questi mesi, quello di nemica giurata del premier. Anche se qualche investigatore non esclude che, viste alcune recenti frequentazioni della donna, quei soldi possano non appartenere a lei. Ma questa è una storia che merita di essere approfondita in un altro capitolo.Qualunque sia l’origine di quel denaro, di certo, secondo i pm, la “pupa” con le sue rivelazioni non ha agito in questi mesi autonomamente e anzi sarebbe stata “eterodiretta”. E per questo l’accusa ha iniziato, rimanendo sott’acqua, a dare la caccia ai presunti pupari.Per scovarli, dovranno risalire al cosiddetto terzo livello, senza farsi cogliere dalle vertigini. Intanto hanno iniziato ad annotare i nomi degli agenti e dei collaboratori che stanno gestendo i frequenti viaggi all’estero di Patrizia D’Addario. Nomi che vengono conservati come reliquie dagli investigatori.
A proposito della presunta cabina di regia, in procura non escludono che chi ne fa parte possa avere selezionato la D’Addario già nel 2008 per poi affidarla all’imprenditore Gianpaolo Tarantini, che ha poi condotto la donna con il registratore nelle stanze di Berlusconi. Ma questa è la pista più insidiosa all’interno dello scenario del complotto che si sta delineando ai danni del premier. Ed è proprio per questo motivo che, allo stato attuale, bisogna concentrarsi sulla parte della trappola informativa ordita dopo le registrazioni della D’Addario. Qui i possibili registi sarebbero stati, ironia della sorte, ripresi dalle telecamere della polizia giudiziaria impegnata in alcuni appostamenti a Bari e, forse, anche dagli occhi elettronici di investigatori privati.
Immagini e foto sono state fatte nei giorni precedenti la decisione della D’Addario di consegnare al Corriere della sera la sua intervista denuncia (dopo essersi prima proposta a un settimanale e, a quanto risulta a Panorama, a un altro importante quotidiano). Secondo quanto sostenuto dal Fatto quotidiano, sarebbero stati filmati incontri tra il senatore del Pd Alberto Maritati (a lungo sostituto procuratore a Bari fino al 1999) e il pm Scelsi, tra Maritati e l’avvocato Maria Pia Vigilante (difensore della D’Addario), tra quest’ultima e una giornalista. Maritati ha confermato gli incontri escludendo di aver parlato dell’inchiesta.
Di certo quando Laudati e i suoi sostituti avranno disvelato il meccanismo che ha indirizzato le azioni del primo livello, la vicenda sarà più decifrabile e sarà evidente come giornali italiani e stranieri abbiano di fatto creato una struttura che ha agito in maniera sinergica e che ha avuto come conseguenza quella di danneggiare l’immagine del presidente del Consiglio. Un’organizzazione che apparentemente si è limitata a raccogliere oggettivamente il racconto della D’Addario, ma che in realtà, secondo l’accusa, si è messa in moto su impulso di politici, magistrati e personaggi senza scrupoli che hanno cercato di usare la signora come un’arma. Ma sulla scena del delitto hanno lasciato troppe prove.Presto si scoprirà pure quali frutti stia dando la collaborazione avviata da Tarantini con gli inquirenti. L’imprenditore ha già messo in fila ore di interrogatori in cui ha fornito numerosi riscontri alle sue dichiarazioni. L’uomo non si è sottratto a nessuna domanda.
Per esempio, ha chiarito i suoi rapporti con Roberto De Santis, fulcro del potere dalemiano in Puglia. I magistrati hanno chiesto conto dei vari contatti e di un incontro fra i due in piazza Navona, a Roma, nella primavera del 2009.La coppia era insieme pure nell’estate di due anni prima, quando incrociò nel mare di Ponza l’allora ministro degli Esteri Massimo D’Alema, con il quale si ritrovò allo stesso tavolo per cena. Nel ristorante, fra i commensali, sedeva pure l’allora capo di stato maggiore della Guardia di finanza, generale Paolo Poletti. A riprova della capacità di Tarantini di tessere relazioni ad altissimi livelli gli inquirenti hanno annotato diverse telefonate dell’imprenditore proprio con Poletti, nominato nel novembre 2008 vicedirettore dell’Aisi, il servizio segreto che si occupa della sicurezza interna.
Pupari, servitori dello Stato infedeli, 007: gli ingredienti per una perfetta spy-story non mancano, anche se rischiano di avvelenare il clima in procura, dove ormai la diffidenza contraddistingue persino i rapporti tra magistrati. Dopo l’annuncio di Panorama di un possibile fascicolo riguardante rilievi quanto meno disciplinari per le toghe, i pm sospettano gli uni degli altri. Alcuni sono allarmati financo dalle domande dei giornalisti, in cui temono di decifrare annunci di indagini a loro carico. Ma presto la partita si giocherà a carte scoperte.
(Giacomo Amadori - Panorama)
Venerdì 5 Febbraio 2010
Infatti le varie inchieste portano a una conclusione univoca: l’affaire D’Addario ha una genesi tutt’altro che lineare e nasconde, secondo gli inquirenti, una precisa regia. Da tempo i magistrati fanno ipotesi su chi possa averla gestita, ma per non vanificare il lavoro sin qui svolto, e correre il pericolo di essere accusati di costruire teoremi fantasiosi, hanno scelto di inabissarsi come un sommergibile. Sino alle prossime, imminenti misure cautelari.Certamente a Bari la D’Addario è indagata per associazione per delinquere. Non è la sola, con lei sono finite sotto inchiesta una dozzina di persone. Il reato associativo è una cornice che serve al procuratore Laudati e ai sostituti che lo affiancano, Giuseppe Dentamaro e Teresa Iodice, per poter investigare ad ampio raggio.
Il nome della D’Addario, prima dello scandalo politico, era noto in tribunale per la ventina di procedimenti pendenti in cui è coinvolta sia come parte offesa sia, e sono la maggior parte, come indagata o imputata. Nella primavera 2009 hanno iniziato a interessarsi a lei anche Pino Scelsi ed Eugenia Pontassuglia, pm della Direzione distrettuale antimafia, nell’ambito di un’indagine di criminalità organizzata avviata per capire se esistesse un collegamento tra la malavita e il reclutamento delle prostitute, come lasciava supporre un attentato subito da un’amica di Patrizia D’Addario legata a un membro del clan Parisi (uno dei gruppi più temuti della criminalità barese).
Nella prima metà di giugno la escort si reca in procura per raccontare la sua notte a Palazzo Grazioli. Qualche settimana dopo incappa nell’indagine sulla fuga di notizie e sulla genuinità delle registrazioni audio effettuate nella dimora del premier. Infatti gli inquirenti si accorgono che il contenuto delle trascrizioni dei nastri consegnati nelle redazioni non corrisponde a quello delle bobine in possesso della procura, segno questo di una possibile strumentalizzazione delle informazioni. Ma fermiamoci un attimo.
Questo è il primo livello dell’inchiesta e ha come tappa finale l’individuazione dei pubblici ufficiali che sono all’origine delle falle nel segreto istruttorio. Non soltanto per le registrazioni della D’Addario, ma anche per la pubblicazione dei verbali secretati di Gianpaolo Tarantini. Su questo versante, secondo quanto risulta a Panorama, l’accusa avrebbe raccolto riscontri inconfutabili.
Tra giugno e settembre 2009 (dal periodo delle prime fughe di notizie su Patrizia D’Addario a quelle su Tarantini) sarebbero stati compiuti diversi passi falsi da parte di giornalisti e investigatori. Inciampi per cui nessuno dei detective, per ora, è stato trasferito, nonostante siano stati immortalati da foto e videotape che proverebbero bugie e responsabilità.Per conoscere i nomi di questi servitori dello Stato infedeli non sarà necessario attendere molto: le richieste di misure cautelari o interdittive, infatti, saranno esaminate dall’ufficio del giudice delle indagini preliminari. I provvedimenti non riguarderanno figure di secondo piano ma toccheranno tra gli altri ufficiali della Guardia di finanza e dei carabinieri. Questo snodo sarà fondamentale.Quando infatti sarà acclarato che, come ipotizzano gli inquirenti sulla scorta di numerosi atti compiuti nell’arco di sei mesi, il flusso di notizie coperte da segreto si inserisce in una strategia mirata a screditare il presidente del Consiglio, l’inchiesta potrà considerare individuato il primo livello e puntare a quello successivo al centro del quale c’è la D’Addario.
L’estate scorsa il suo ex amante e protettore, Giuseppe Barba, l’ha denunciata per stalking e durante la sua deposizione fiume del 5 agosto il pm Dentamaro, di nuovo lui (e non è un caso), ha trovato lo spunto per aprire un nuovo filone d’indagine, quello incardinato, per ora, solo su un’ipotesi di associazione per delinquere. La notizia di reato è un presunto trasferimento di 1,5 milioni di euro dall’Italia al Qatar. Dentamaro, specializzato in fascicoli riguardanti le cosiddette fasce deboli, conosce benissimo la D’Addario e le ha dato credito in un processo, facendo condannare Barba nel 2006 per favoreggiamento della prostituzione. Questo non gli ha impedito, due anni dopo, il 3 luglio 2008, in occasione della richiesta di archiviazione per una denuncia, di ricredersi sul conto della donna e di liquidarla con queste parole: “Può validamente affermarsi che risulta compromessa l’intera credibilità della suddetta”.
Il magistrato, dopo avere trovato i riscontri al viaggio della signora nella Penisola arabica, adesso vuole capire se anche le restanti dichiarazioni di Barba siano plausibili. Resta da scoprire perché la D’Addario avrebbe trasportato soldi all’estero: per costituire fondi neri? Per trasferire oltreconfine le mazzette incassate da eventuali amici politici? O magari per ripulire capitali di provenienza illecita? A dicembre, a Bari, un’imponente inchiesta antiriciclaggio ha portato all’arresto di un’ottantina di persone, molte legate al già citato clan Parisi. Un filone che non ha ancora finito di riservare sorprese.
Certamente la donna, nonostante le dichiarazioni dei redditi da indigente, negli ultimi mesi è al centro di accertamenti finanziari capillari che hanno permesso di appurare l’esistenza di numerosi conti correnti italiani ed esteri riferibili direttamente a lei, ai parenti più stretti o a prestanome. In particolare gli investigatori hanno puntato gli occhi su un tesoretto depositato presso una banca italiana, un gruzzolo non lontano da 1 milione di euro che sarebbe affluito negli ultimi mesi. Una ricchezza che per gli inquirenti non può essere giustificata con l’improvvisa notorietà della signora, anche perché lei, nella sua recente autobiografia, giura di non essersi mai fatta pagare per le interviste.
In procura sospettano che tutti quei soldi possano essere il premio per il ruolo recitato in questi mesi, quello di nemica giurata del premier. Anche se qualche investigatore non esclude che, viste alcune recenti frequentazioni della donna, quei soldi possano non appartenere a lei. Ma questa è una storia che merita di essere approfondita in un altro capitolo.Qualunque sia l’origine di quel denaro, di certo, secondo i pm, la “pupa” con le sue rivelazioni non ha agito in questi mesi autonomamente e anzi sarebbe stata “eterodiretta”. E per questo l’accusa ha iniziato, rimanendo sott’acqua, a dare la caccia ai presunti pupari.Per scovarli, dovranno risalire al cosiddetto terzo livello, senza farsi cogliere dalle vertigini. Intanto hanno iniziato ad annotare i nomi degli agenti e dei collaboratori che stanno gestendo i frequenti viaggi all’estero di Patrizia D’Addario. Nomi che vengono conservati come reliquie dagli investigatori.
A proposito della presunta cabina di regia, in procura non escludono che chi ne fa parte possa avere selezionato la D’Addario già nel 2008 per poi affidarla all’imprenditore Gianpaolo Tarantini, che ha poi condotto la donna con il registratore nelle stanze di Berlusconi. Ma questa è la pista più insidiosa all’interno dello scenario del complotto che si sta delineando ai danni del premier. Ed è proprio per questo motivo che, allo stato attuale, bisogna concentrarsi sulla parte della trappola informativa ordita dopo le registrazioni della D’Addario. Qui i possibili registi sarebbero stati, ironia della sorte, ripresi dalle telecamere della polizia giudiziaria impegnata in alcuni appostamenti a Bari e, forse, anche dagli occhi elettronici di investigatori privati.
Immagini e foto sono state fatte nei giorni precedenti la decisione della D’Addario di consegnare al Corriere della sera la sua intervista denuncia (dopo essersi prima proposta a un settimanale e, a quanto risulta a Panorama, a un altro importante quotidiano). Secondo quanto sostenuto dal Fatto quotidiano, sarebbero stati filmati incontri tra il senatore del Pd Alberto Maritati (a lungo sostituto procuratore a Bari fino al 1999) e il pm Scelsi, tra Maritati e l’avvocato Maria Pia Vigilante (difensore della D’Addario), tra quest’ultima e una giornalista. Maritati ha confermato gli incontri escludendo di aver parlato dell’inchiesta.
Di certo quando Laudati e i suoi sostituti avranno disvelato il meccanismo che ha indirizzato le azioni del primo livello, la vicenda sarà più decifrabile e sarà evidente come giornali italiani e stranieri abbiano di fatto creato una struttura che ha agito in maniera sinergica e che ha avuto come conseguenza quella di danneggiare l’immagine del presidente del Consiglio. Un’organizzazione che apparentemente si è limitata a raccogliere oggettivamente il racconto della D’Addario, ma che in realtà, secondo l’accusa, si è messa in moto su impulso di politici, magistrati e personaggi senza scrupoli che hanno cercato di usare la signora come un’arma. Ma sulla scena del delitto hanno lasciato troppe prove.Presto si scoprirà pure quali frutti stia dando la collaborazione avviata da Tarantini con gli inquirenti. L’imprenditore ha già messo in fila ore di interrogatori in cui ha fornito numerosi riscontri alle sue dichiarazioni. L’uomo non si è sottratto a nessuna domanda.
Per esempio, ha chiarito i suoi rapporti con Roberto De Santis, fulcro del potere dalemiano in Puglia. I magistrati hanno chiesto conto dei vari contatti e di un incontro fra i due in piazza Navona, a Roma, nella primavera del 2009.La coppia era insieme pure nell’estate di due anni prima, quando incrociò nel mare di Ponza l’allora ministro degli Esteri Massimo D’Alema, con il quale si ritrovò allo stesso tavolo per cena. Nel ristorante, fra i commensali, sedeva pure l’allora capo di stato maggiore della Guardia di finanza, generale Paolo Poletti. A riprova della capacità di Tarantini di tessere relazioni ad altissimi livelli gli inquirenti hanno annotato diverse telefonate dell’imprenditore proprio con Poletti, nominato nel novembre 2008 vicedirettore dell’Aisi, il servizio segreto che si occupa della sicurezza interna.
Pupari, servitori dello Stato infedeli, 007: gli ingredienti per una perfetta spy-story non mancano, anche se rischiano di avvelenare il clima in procura, dove ormai la diffidenza contraddistingue persino i rapporti tra magistrati. Dopo l’annuncio di Panorama di un possibile fascicolo riguardante rilievi quanto meno disciplinari per le toghe, i pm sospettano gli uni degli altri. Alcuni sono allarmati financo dalle domande dei giornalisti, in cui temono di decifrare annunci di indagini a loro carico. Ma presto la partita si giocherà a carte scoperte.
(Giacomo Amadori - Panorama)
Venerdì 5 Febbraio 2010
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