Ultimissime AISE Agenzia Internazionale Stampa Estero

IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO

domenica 29 novembre 2009

Venezuela, rilasciati due italiani rapiti

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Liberato Antonio Banfi che stato sequestrato a Maracaibo nel mese di ottobre. Nelle stesse ore è stato liberato anche un altro italiano: si tratta di un commerciante sparito due giorni fa.
È stato rilasciato in Venezuela Antonio Banfi, che era stato rapito lo scorso 11 ottobre: lo hanno riferito all’ANSA fonti consolari italiane di Maracaibo. La notizie è stata confermata dalla Farnesina. Antonio Banfi, 64 anni, è originario di Bucciano, nella provincia di Benevento. Era stato sequestrato lo scorso ottobre da due sconosciuti armati che lo hanno prelevato e portato via in auto, mentre usciva dal 'fast food' che gestisce nel quartiere di Santa Rita della città venezuelana di Maracaibo.
È stato liberato, inoltre, anche un altro cittadino di origine italiana, Mauricio di Toro, da due giorni nelle mani di una banda criminale. La banda, in cui operavano dei poliziotti corrotti, è stata smantellata. Di Toro, figlio di un commerciante italiano, 33 anni, si stava dirigendo verso l'Università Metropolitana di Caracas quando, dopo essere stato fermato ad un posto di blocco dalla polizia Metropolitana (Pm), è stato aggredito e prelevato dalla sua auto da un altro gruppo di delinquenti complici dei poliziotti. Immediatamente dopo il sequestro, avvenuto nel tardo pomeriggio nel settore "Las filas de Mariche" nell'est della capitale, i rapinatori avevano telefonato alla famiglia Di Toro richiedendo una ingente somma di denaro per il riscatto.
«Grazie alla denuncia effettuata dai familiari della vittima, i funzionari della Direzione nazionale contro Estorsioni e sequestri del Corpo di indagini scientifiche penali e criminalistiche (Cicpc) - ha detto il direttore del Corpo, Wilmer Flores Trosel, in una conferenza stampa - sono entrati nella residenza dove si trovava sequestrato Di Toro e hanno liberato l'ostaggio». A seguito del blitz, sono state detenute cinque persone. «Oltre a queste persone arrestate - ha concluso Flores - sono stati identificati i quattro membri della polizia che integravano la "Banda Los filas de Mariches" che operava tenendo come base il commissariato di Caucagüita». Non era il primo sequestro che veniva portato avanti dalla famigerata banda, visto che erano cadute nelle loro mani almeno altre quattro persone negli scorsi mesi. E non è la prima volta che le bande criminali sono composte da funzionari attivi o in pensione dei corpi della polizia.

sabato 28 novembre 2009

Non c’è stata nessuna resa dei conti nel PdL

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Il ministro della Difesa Ignazio La Russa esclude che giovedì scorso ci sia stata "una resa dei conti" nel PdL ed annuncia decisioni sulle prossime elezioni Regionali fra una settimana. Secondo La Russa, nell’ufficio di presidenza "c'è stato un dibattito, soprattutto sulla giustizia, che si è concluso con un documento approvato all’unanimità". (Il documento è di seguito riportato in forma integrale). E nessuno sostiene che è fuori chi non è d’accordo con la maggioranza”. Sulle dichiarazioni del Premier contro i giudici commenta: “Certi meccanismi a orologeria sono sotto gli occhi di tutti”.
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L'Ufficio di Presidenza del Popolo della Libertà, al termine della riunione nel corso della quale sono stati presi in esame tutti gli aspetti dell'attuale momento politico, ha approvato il seguente documento:
''Anche il corso dell'attuale legislatura è stato turbato dall'azione di una parte tanto esigua quanto dannosa della magistratura, dimentica del proprio ruolo di imparzialità. Si tratta di una questione che è giunta ormai ad intaccare la natura stessa della democrazia, che si fonda cioè su un corretto e giusto equilibrio fra i diversi poteri e ordini dello Stato. Questo equilibrio, che le diverse tradizioni politiche che contribuirono a scrivere la nostra Carta Costituzionale avevano cercato di garantire e di preservare, è completamente saltato, soprattutto dopo le vicende giudiziarie che hanno travolto il sistema politico della cosiddetta Prima Repubblica. L'Italia è l'unico Paese in cui la magistratura ha finito per acquisire un peso così abnorme nella vita democratica e di converso il potere politico fondato sulla sovranità popolare rischia di apparire impotente a svolgere le proprie finalità. Questo problema non riguarda una sola persona o un solo partito ma la natura stessa della democrazia e la capacità di chi è investito di una responsabilità politica di adempiere alle proprie responsabilità nei confronti dell'intero Paese. Per questo il Popolo della Libertà si sente impegnato a sostenere con forza in Parlamento una riforma delle istituzioni che consenta una maggiore efficacia dell'azione dell'esecutivo, anche nell'ambito dell'elezione diretta del capo del governo e di un sistema di contrappesi fondati anche su un maggior potere di controllo e di indirizzo del Parlamento.
Nel contempo il Popolo della Libertà ritiene urgente una riforma della giustizia che ridisegni i rapporti fra i diversi poteri e ordini dello Stato, nel segno dell'equilibrio e della reciproca autonomia e indipendenza. Nell'ambito di questa riforma complessiva della giustizia si pone anche l'opportunità di una legge che ponga un limite alla durata indefinita dei processi, che rappresenta di fatto in Italia una pena aggiuntiva, giustamente condannata dalla Corte europea dei diritti. Infine si è stabilito di riproporre in veste costituzionale il contenuto del Lodo Alfano''.
L'Ufficio di Presidenza ha dato mandato ai coordinatori nazionali di presentare entro la prossima settimana le proposte riguardanti i candidati alle prossime elezioni regionali.
L'Ufficio di Presidenza ha dato incarico alla Consulta ''Riforme e problemi dello Stato'' di avviare ''l'esame delle proposte relative alla questione della cittadinanza verificandone anche la sintonia con il programma di governo sottoposto agli elettori. Mentre ha ribadito che ogni ipotesi di voto ai non cittadini italiani è estranea al programma e alla linea politica del Popolo della Libertà''.
L'Ufficio di Presidenza ha infine approvato l'avvenuto avvio della campagna tesseramento 2009-2010 e le relative iniziative che il Popolo della Libertà organizzerà nel fine settimana 12-13 dicembre in tutte le principali città italiane.
Tutti i punti del documento sono stati votati all'unanimità dai componenti dell'Ufficio di Presidenza.

lunedì 23 novembre 2009

Michele Moceri presenta un O.d.G. sul Crocifisso

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CONSIGLIO COMUNALE di MONSUMMANO TERME
Ordine del Giorno del Gruppo Consiliare del PdL
Presentato dal Consigliere Michele Moceri
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Al Signor Presidente del C.C.
Monsummano Terme (PT)


Al Signor Segretario Generale
Monsummano Terme (PT)



OGGETTO: Ordine del Giorno urgente per la valorizzazione della nostra identità nazionale ed in merito alla sentenza emanata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sul simbolo del Crocifisso



Il Consiglio Comunale di Monsummano Terme

PREMESSA la sentenza pronunciata in data 13 Ottobre 2009 dalla Seconda Sezione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che, in accoglimento ad un ricorso presentato, ha decretato la rimozione dei crocifissi dalle aule scolastiche italiane in quanto concretizzanti ipotesi di violazione dell’Art. 2 del Protocollo n. 1, nonché dell’Art. 9 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali;
PRESO ATTO che la Convenzione Onu sui Diritti del fanciullo del 1989, ratificata dall’Italia nel 1991, prevede, all’Art. 29 comma c), che nell’educare il ragazzo si deve sviluppare … “il rispetto dei valori nazionali del Paese nel quale vive”;
VISTI
- l’Art. 118 del Regio Decreto n. 965 del 30 aprile 1924 (ancora in vigore ed applicabile) il quale recita: “Ogni scuola deve avere la bandiera nazionale, ogni aula il crocifisso e il ritratto del re”;
- l’Art. 119 del Regio Decreto n. 1297 del 26 aprile 1928 (ancora in vigore ed applicabile) il quale stabilisce: “Il crocifisso è fra le attrezzature e materiali necessari alle aule delle scuole”;
- il Parere del Consiglio di Stato n. 63 del 24 luglio 1988 il quale recita: “Conclusivamente, quindi, poiché le disposizioni di cui all’art. 118 del R.D. 30 aprile 1924, n. 965 e quelle di cui all’allegato C del R.D. 26 aprile 1928, n. 1297, concernenti l’esposizione del Crocifisso nelle scuole, non attengono all’insegnamento della religione cattolica, né costituiscono attuazione degli impegni assunti dallo Stato in sede concordataria, deve ritenersi che esse siano tuttora legittimamente operanti;
- la Direttiva del Ministero dell’Istruzione Prot. n. 2666, del 3 ottobre 2002, dispone che: “Sia assicurata da parte dei Dirigenti scolastici l’esposizione del Crocifisso nelle aule scolastiche”;
- l’Ordinanza della Corte Costituzionale del 15 dicembre 2004, con la quale viene dichiarata: “La manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli Artt. 159 e 190 del D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione), come specificati, rispettivamente, dall’Art. 119 (e allegata tab. C) del R.D. 26 aprile 1928, n. 1297 (Approvazione del regolamento generale sui servizi dell’istruzione elementare), e dall’Art. 118 del R.D. 30 aprile 1924, n. 965 (Ordinamento interno delle Giunte e dei Regi istituti di istruzione media), e dell’Art. 676 del predetto D.Lgs. n. 297 del 1994, sollevata, in riferimento al principio di laicità dello Stato e, comunque, agli artt. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della Costituzione”;
- La decisione del Consiglio di Stato n. 556 del 13 febbraio 2006. Nelle diciannove pagine della sentenza n. 556, il Consiglio di Stato afferma che il crocifisso deve restare nelle aule scolastiche non perché sia un suppellettile o un oggetto di culto, ma perché è un simbolo idoneo ad esprimere l’elevato fondamento dei valori civili (tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, affermazione dei suoi diritti, etc.) che hanno un’origine religiosa, ma che sono poi i valori che delineano la laicità nell’attuale ordinamento dello Stato. La lunga ed articolata sentenza si sofferma anche sul concetto di laicità, specificando come la laicità, benché presupponga e richieda ovunque la distinzione tra la dimensione temporale e la dimensione spirituale e fra gli ordini e le società cui tali dimensioni sono proprie, non si realizza in termini costanti e uniformi nei diversi Paesi, ma, pur all’interno della medesima civiltà, è relativa alla specifica organizzazione istituzionale di ciascuno Stato, e quindi essenzialmente storica, legata com’è al divenire di questa organizzazione. In sostanza per il Consiglio di Stato il concetto di laicità italiano è differente da quello britannico o da quello francese, e così via;
CONSIDERATO che il crocifisso, aldilà della sua identificazione con il simbolo religioso della cristianità, racchiude in sé quei valori universali di giustizia, di pace e di probità in cui la nostra società civile affonda le sue vitali radici. Esso fa’ parte della nostra identità culturale, è un simbolo della nostra storia e da sempre esprime valori umani improntati al rispetto, al perdono, al dialogo, alla comprensione, alla tolleranza, all’amore, alla strenua difesa dell’inviolabile dignità della persona. La presenza del crocifisso nelle aule scolastiche non impedisce ad alcun genitore di educare i figli secondo le proprie convinzioni né ad alcuno studente di essere libero di vivere e professare la propria religione o l’ateismo;
COSTATATO il crescente e pericoloso relativismo culturale, morale ed etico della società contemporanea, la costante tendenza a polemizzare con i capisaldi della nostra millenaria cultura, e gli interventi provocatori tendenti a scalfire immemorabili certezze, anche con la squalificante e riprovevole richiesta di abolire il più innocuo e pacifico dei nostri simboli, il crocifisso, nei luoghi pubblici, in particolare nelle aule scolastiche, nei pubblici uffici e negli ospedali;
TENUTO CONTO dei continui attacchi a cui viene sottoposto il nostro Paese, a cui palesemente non si perdonano la creatività e la perfezione, il saper fare delle difficoltà le più preziose virtù. Un popolo nobile, nella sua immensa ricchezza di storia, di arte, di cultura e di ingegno frutto di millenni di impegno civico, ottenuti nei secoli con sacrifici anche estremi. Il crocifisso è anche il palese esempio di questa grandezza nata anche dalla speranza e dal sacrificio. I millenni che hanno portato l’Italia dal nulla all’Impero e poi di nuovo al nulla e poi di nuovo a protagonista della storia, non possono essere cancellati da sentenze di dubbia certezza giuridica, scritte da sette giudici che nulla hanno a che fare, né culturalmente né idealmente con la nostra società;
COSCIENTE inoltre che il concetto di accoglienza e di integrazione non si basa sulla preventiva ed ingenua volontà di rinuncia alla propria identità, eliminando i segni della propria tradizione storica e culturale ma, al contrario, sulla capacità di saper difendere la propria ideologia nel dialogo con chi ha storie, tradizioni e culture diverse, nel rispetto reciproco del proprio bagaglio di conoscenze e di insegnamenti che comunque abbracciano anche la simbologia;
RIBADITO il profondo valore della laicità dello Stato e, come tale di tutte le istituzioni preposte a rappresentare il popolo italiano. La maturità della coscienza dei laici e dei credenti è il patrimonio etico che sta alla base del fondamento della pace, della solidarietà e della fratellanza umana;
RITENUTO che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo ha emesso una sentenza, incomprensibile, giuridicamente ed eticamente inaccettabile, oltre che inappropriata e ingiusta in quanto non rispettosa dei principi della democrazia e delle tradizioni di un intero popolo e che detta sentenza è lesiva dei suoi stessi principi ispiratori, e cioè discriminante della libertà religiosa;

RITENUTO inoltre che la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo rappresenta una pericolosa intromissione nel nostro democratico sistema legislativo, poiché di fatto lede l’interesse di tutto il popolo italiano con il pretesto di tutelare i diritti umani e civili di un singolo, senza tenere conto che sullo stesso tema la giustizia italiana, in tutti i suoi gradi, ed in tutte le sue sedi, ha più volte riconosciuto la legittimità della collocazione dei crocifissi. Il crocifisso è considerato ormai anche da laici, ed autorevoli esponenti delle altre confessioni religiose, un simbolo ricchissimo di significati anche per chi crede in altre religioni e per chi non crede affatto, essendo il simbolo della sofferenza umana che chiede di essere riscattata, una speranza universale che va offerta a tutti gli uomini e naturalmente ai bambini ed ai ragazzi che vanno a scuola;
CONOSCIUTA la volontà del Governo Italiano, che ha immediatamente presentato ricorso, contro la sentenza, alla Grande Camera Europea che funge da organo di appello;
EVIDENZIATO che la sentenza non è eseguibile in Italia, se prima non viene messo in moto un lungo iter e lo stesso non giunga a termine, ed in ogni caso sempre e quando la sentenza definitiva non contrasti con i principi fondamentali della nostra Costituzione. Quindi, fino al pronunciamento della Grande Camera Europea, la sentenza non potrà comunque essere applicata, ed eventualmente, se dopo l’appello, dovesse diventare vincolante, non sono previste sanzioni in caso di inosservanza. Spetterebbe poi al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa controllarne l’esecuzione.
In attesa dell’esito del ricorso in appello proposto dal Governo Italiano contro la sentenza;

ESPRIME

Il proprio assoluto dissenso nei confronti di detta sentenza e la propria preoccupazione per la decisione assunta dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo per i motivi esposti;

RIAFFERMA

La necessità e l’opportunità di salvaguardare la presenza del crocifisso nelle aule scolastiche italiane, riconoscendone l’alto valore simbolico, non solo religioso ma anche civile ed educativo, in qualunque sede esso sia esposto;

AUSPICA

L’accoglimento del ricorso presentato dal Governo della Repubblica Italiana;

INVITA

Il Sindaco e la Giunta Municipale a disporre un’attenta ed accurata verifica in tutti gli Uffici Pubblici, compresi quelli del Comune aperti al pubblico, e le Aule delle Scuole Comunali, coinvolgendo anche i rappresentanti locali delle suddette Istituzioni, per assicurare la presenza dei crocifissi sia negli Uffici che in ogni aula scolastica, al loro ripristino ove siano stati rimossi, ed alla loro collocazione ove non siano mai stati posti. In ambito scolastico sarebbe opportuno svolgere una riflessione sui valori sopra richiamati, insiti nella nostra storia e nella nostra tradizione, ed in particolare, con l’approssimarsi delle festività natalizie, per mantenere vive le tradizioni, sarebbe consigliabile che le scuole curassero l’allestimento del Presepe e l’organizzazione delle recite;

INVIA

Il presente ordine del giorno, approvato, alla Presidenza della Provincia di Pistoia, alla Presidenza della Regione Toscana, alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, al Presidente della Repubblica, ed al Presidente della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Alfano: "Non hanno i numeri per smentirmi"

Il Pm Armando Spataro va in tv ed attacca il ddl Giustizia
Antonio Di Pietro: delitto di Stato criticare le toghe
Angelino Alfano, sulle prescrizioni, replica alle toghe
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La Giustizia è al centro dell'agenda politica. Se ne discute in parlamento, se ne discute nel Paese. E, ovviamente, se ne discute anche in seno al Governo. Non solo per le auspicate riforme da mettere in cantiere. Si parla anche di risorse economiche. Perché la Giustizia per funzionare meglio ha bisogno non solo di riforme ma anche di soldi. Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, fa sapere che chiederà maggiori risorse nella finanziaria per accelerare la riforma e "ridurre i tempi dei processi rispettando le esigenze dei cittadini. Ecco perché - ha detto Alfano oggi a Milano a margine di un convegno alla Bocconi - in finanziaria chiederò maggiori risorse per la Giustizia, sapendo di poter contare sulla disponibilità dell’intero Governo, del PdL, del presidente della Camera e di tutti coloro che credono nel funzionamento del sistema Giustizia".
Alfano ritiene che "sia Spataro che l’Associazione nazionale dei magistrati non riescono a contraddirmi nel merito" a proposito del numero dei procedimenti penali che verrebbero prescritti se il disegno di legge sul processo breve venisse approvato. "Sia Spataro che l’Anm continuano ad attaccare quel dato senza fornire un’alternativa - dice il ministro a margine di un convegno in Bocconi - e questo fa premio della circostanza che non hanno un numero alternativo da offrire, cioè non riescono a contraddirmi nel merito". Alfano osserva che "taluni giornali hanno parlato di 600mila procedimenti che andrebbero prescritti, altri di 100mila. I magistrati, nonostante si tratti dell’Unità e di Repubblica, non prendono a fonte questi numeri perchè si rendono conto che sono fallaci".
"Nessuno è riuscito a rispondere alla domanda - prosegue Alfano - su come mai tutte le inchieste si siano concentrate su Berlusconi dal 1994 in poi, e non per fatti funzionali alla sua attività, ma dal 1994 a ritroso". "Il Presidente del Consiglio dal 1936 al 1994, cioè da quando è nato a quando è entrato in politica, ha avuto una vita di grandi successi e di grande prestigio ed è stato il Cavaliere del Lavoro più giovane nella storia della Repubblica".
Ieri era stato il procuratore aggiunto di Milano, Armando Spataro, ad aver parlato di paradosso a proposito dell’1 per cento dei processi che verrebbero estinti poiché questo significherebbe che il 99 per cento funziona perfettamente. Il procuratore aveva anche aggiunto che in questi giorni le procure di tutta Italia stanno proseguendo con i conteggi per capire quanti, dal loro punto di vista, sono i procedimenti cadrebbero in prescrizione se il testo di discussione venisse approvato.
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Le loro requisitorie cominciano in aula ma non finiscono mai. Proseguono in tv, nei libri, nei convegni. Antonio Ingroia, procuratore aggiunto a Palermo, va ad Annozero, Armando Spataro, stessi gradi ma a Milano, rompe la quiete domenicale offrendo il suo pensiero in pillole a Lucia Annunziata. È un costume che in Italia va avanti almeno dai tempi del Pool, dei proclami televisivi contro le leggi inique e delle fragorose interviste a tutta pagina di Borrelli che frustava il Palazzo e arrivava a ironizzare sulle abitudini alcoliche dell’allora guardasigilli Alfredo Biondi.
Quindici anni dopo, nel salotto Rai di In mezz’ora, siamo allo stesso punto. Spataro fa a pezzi il processo breve, ironizza sul ministro Alfano «che non si è reso conto del boomerang» rappresentato dalla futuribile legge che vorrebbe accorciare, si fa per dire, a sei anni, la durata dei procedimenti giudiziari, poi se la prende con Berlusconi: «Non abbiamo bisogno di escamotage - spiega - il problema è quello che ha indicato anche il presidente Napolitano. Basta con gli interventi a salvaguardia di poche persone». Come se non bastasse, il pm del caso Abu Omar e di numerosissime altre inchieste, rincara la dose: «Il problema non è dei rapporti in generale fra politica e magistratura, ma fra una parte della politica e la magistratura». Insomma, il tasto dolente è la maggioranza di centrodestra e il suo leader. Infine passando a parlare dei suoi fascicoli, ricorda «gli ostacoli giuridici», posti da Prodi e Berlusconi attraverso il segreto di Stato.
Spataro non è un pm isolato. Gode di grande popolarità fra i colleghi, è considerato uno dei magistrati più autorevoli a Milano, è fra gli animatori dei Movimenti riuniti, la corrente di sinistra gemella di Magistratura democratica, anche se talvolta meno ortodossa.
Le esternazioni di Spataro vengono dopo quelle, tambureggianti, di Antonio Ingroia che, invece, appartiene a Magistratura democratica. Anche Ingroia maneggia i fili di inchieste delicatissime, esplosive, sul confine infiammato fra politica e mafia. È stato Ingroia a rappresentare l’accusa al processo contro Marcello Dell’Utri, è stato lui a ricevere, poche settimane fa, l’ormai mitico papello da Ciancimino junior, lui a scavare sui cosiddetti mandanti esterni alle stragi del ’92-93. Proprio il ruolo così esposto e delicato consiglierebbe prudenza e un raffreddamento dei toni, ma l’altra sera Ingroia era ospite di Michele Santoro. «Che cosa ha fatto Kohl in Germania quando è stato indagato?», si è chiesto retoricamente il magistrato. Scontata la risposta: «Si è dimesso». E così il pm che esplora, fra le altre cose, i rapporti fra Cosa nostra e il PdL, ha offerto la soluzione dei suoi problemi a Silvio Berlusconi: vada a casa. Non sentiremo più parlare di lui. Il clima si rasserenerà. Esattamente lo stesso sentiero su cui a suo tempo fu instradato dai pm di Palermo Giulio Andreotti, sette volte presidente del Consiglio prima di essere sommerso da accuse spaventose. Poi, dopo dieci anni e più, Andreotti è stato assolto (sia pure con la macchia della prescrizione per i vecchi rapporti con Cosa nostra), ma ormai era fatta.
Sono in qualche modo speculari, anche se diversissimi fra loro, Spataro e Ingroia. Perché tengono alta, per così dire, la tradizione milanese e quella palermitana. Milano e Palermo compongono la grande tenaglia che dai tempi di Borrelli e Caselli ha chiuso l’Italia in una morsa. Tutte le grandi inchieste che hanno decapitato la Prima Repubblica e messo a rischio la Seconda sono nate in queste due città. A Milano vanno avanti, quasi in automatico, gli ultimi processi al Cavaliere: quello sui diritti tv e l’altro sulle presunte mazzette all’avvocato Mills. Da Palermo potrebbe partire, secondo molte indiscrezioni, la prossima campagna anti premier, nata dalle rivelazioni di alcuni pentiti.
È un po’ un gioco delle parti, ai due cantoni della penisola. E ogni volta ci si chiede dove cominci l’opinionista e dove finisca il pm. Le requisitorie iniziano in tribunale ma tracimano su libri, riviste, giornali. Ingroia ha trovato il tempo per partecipare, sia pure brevemente, al forum di lancio del quotidiano giustizialista Il Fatto, del duo Padellaro-Travaglio. Il pm ha appena scritto un pamphlet tosto e graffiante, C’era una volta l’intercettazione, un dito puntato contro il governo già dal titolo. E sempre lui ha utilizzato il palcoscenico di un paio di congressi, promossi guardacaso da Magistratura democratica e dall’ex pm e oggi uomo di punta dell’Italia dei valori Luigi De Magistris, per ammonire il Paese con toni vagamente apocalittici: «Noi oggi siamo in mano ad interessi privati che si sono impossessati della politica». Ne è nato un pandemonio, soffocato solo dalla polemica successiva: l’esternazione del pm-vetrina ad Annozero.
Siamo, fatti i debiti distinguo, sulla stessa lunghezza d’onda di Spataro e dei pm di rito ambrosiano. A Milano il giudice Raimondo Mesiano, quello della sentenza sul Lodo Mondadori e del calzino turchese, è diventato l’icona della lotta a Berlusconi. Sempre sotto la Madonnina un altro pm, Fabio De Pasquale, superstite della stagione lontana di Mani pulite, giusto una settimana fa ha dettato l’agenda al premier: «Può venire in aula al mattino e poi partecipare al vertice Fao a Roma».
Ora è Spataro a prendersi i titoli. Meglio fare, gli chiede l’Annunziata, una legge ad personam che sia chiara, come chiede Pier Ferdinando Casini, oppure il cosiddetto processo breve? «Non ho dubbi - è la replica tranchant - non sarebbe bene fare né l’uno né l’altro». Nel PdL le parole di Spataro provocano un’epidemia di mal di pancia. Ma il partito dei pm va avanti. Arrivederci alla prossima esternazione. (Il Giornale)
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Il Ddl sulla riforma della giustizia? Per Spataro è inutile e sembra ispirato da «logica aziendale» in alcuni suoi punti. Apriti cielo. La destra protesta, la sinistra e Di Pietro attaccano, perché Spataro e Ingroia, già critico anche lui, non vanno toccati: loro possono esprimere un'opinione, ma nessuno deve permettersi di ribattere. A questo punto è arrivata, oggi, la discussione sul problema giustizia. Per Maurizio Gasparri «Spataro, dopo le performance di Ingroia, rende ancora più intensa la campagna televisiva a base di menzogne della sinistra giudiziaria».
Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha spiegato che l'unica cosa che condivide di quanto detto ieri dal procuratore aggiunto Armando Spataro, nella trasmissione televisiva In mezz'ora, è che, nella riforma della giustizia, sia contenuta una «logica aziendale». «È l'unica cosa che condivido - ha spiegato Alfano a un convegno all'università Bocconi di Milano -. Quando il pm Spataro accusa il governo di essere animato ed assistito da logiche aziendali, io lo rivendico con orgoglio». «Il senso quasi negativo, di disprezzo - ha proseguito - con cui è stata usata la parola aziendale rende ragione di come certuni vivano l'efficienza del sistema giustizia». Secondo Alfano, «la giustizia italiana dovrebbe andare bene come un'azienda che funziona perché dovrebbe dare un utile e cioè rendere giustizia rapidamente ai cittadini». «Evidentemente - ha concluso - nessuno tra quelli che, con un'ostilità preconcetta, ci attacca, si rende conto che, se la giustizia italiana fosse valutata secondo canoni aziendali, sarebbe sull'orlo del fallimento».
«Quello che è accaduto ieri sulle reti del servizio pubblico radiotelevisivo sarebbe letteralmente inimmaginabile in qualunque altro Paese dell'Occidente avanzato», ha detto oggi Daniele Capezzone, portavoce del PdL, a proposito dell'intervento del giudice Spataro alla trasmissione «In 1/2 ora». «L'idea che un magistrato si permetta di stabilire cosa Governo, Parlamento, maggioranza e opposizione possano, non possano, debbano o non debbano fare, è semplicemente lunare. E l'aspetto più inquietante - conclude - è che la sinistra, accecata dall'odio antiberlusconiano, non sembrai neppure capace di porsi il problema».
«Accusare e criminalizzare persone come Spataro e Ingroia è un delitto di Stato, perchè vuol dire non conoscere la storia personale di queste persone. Quando la gente andava in giro con i calzoni corti, Spataro combatteva il terrorismo, Ingroia combatteva la mafia». Così dice il presidente dell'Idv, Antonio Di Pietro, durante la presentazione delle linee programmatiche dell'Italia dei valori per le elezioni regionali del Lazio 2010. «Criminalizzare loro soltanto perchè dicono: guardate che con queste leggi che state facendo ci togliete ogni possibilità di combattere la criminalità vuole dire essere favoreggiatori di criminali», ha aggiunto Di Pietro. «Perchè soltanto dei criminali possono combattere la criminalità togliendo le armi a coloro che la combattono - ha concluso il presidente dell'Idv - È come togliere il bisturi a un chirurgo. Non so se a un certo punto chi attacca Spataro sono solo i delinquenti o anche i cretini».
Dopo l'intervista al procuratore aggiunto di Milano Armando Spataro, il senatore del gruppo PdL, Alessio Butti, capogruppo nella Commissione parlamentare di Vigilanza sulla Rai, ritiene ancora «più forte l'esigenza di disciplinare le trasmissioni senza contraddittorio». «È inconcepibile, infatti, ascoltare in un programma che fa servizio pubblico, mezz'ora di monologo infarcito di accuse sferzanti e false senza nessuna possibilità di replica. Perciò chiederò personalmente al presidente Zavoli di affrontare quanto prima nella Commissione parlamentare di Vigilanza sulla Rai questo argomento, che ormai è improcrastinabile». (Libero)

domenica 22 novembre 2009

Critiche a Fini da parte di Lega e PdL

Cota (Lega): "A dividerci da Fini è l'idea della cittadinanza facile e il diritto di voto agli immigrati" Matteoli (PdL): "Le questioni politiche da lui sollevate non appartengono alla storia di An"
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La questione del ruolo degli immigrati in Italia crea ancora tensione nella maggioranza. Dopo le dichiarazioni di sabato del Presidente della Camera Gianfranco Fini in una scuola romana, non sono mancate le reazioni nella maggioranza.
Roberto Cota, capogruppo della Lega alla Camera, così commenta l’uscita del Presidente della Camera: “È chiaro che sono rimasto colpito da Fini: proprio lui che qualche giorno fa , ci spiegava che l’immigrazione non si liquida con una battuta, adesso si mette a dire parolacce. … Al di là delle espressioni colorite la questione vera è quale politica per l’immigrazione fare. A dividerci da Fini è l’idea della cittadinanza facile e il diritto di voto agli immigrati”.
Ma anche nell'ambito dello stesso PdL non sono mancati i distinguo rispetto alle posizioni di Fini. Altero Matteoli, ministro delle Infrastrutture ed ex dirigente di An, sottolinea: “Le questioni politiche e culturali sollevate da Gianfranco Fini non appartengono alla storia di An. Il testamento biologico, l’immigrazione, erano più un humus di Forza Italia. Ma lo strappo di Fini indica che il suo retroterra è cambiato”. Poi afferma che: “Il Presidente della Camera è troppo intelligente per fare una fronda antiberlusconiana. Il suo obiettivo semmai è storicizzare An, come con An ha storicizzato l’Msi e con l’Msi il fascismo”. Matteoli respinge anche l’idea del PdL come un partito-caserma, affermando: “Ma quale caserma, la leadership di Berlusconi non è decisa per statuto ma dagli elettori. Chi non la accetta è antidemocratico. Nessuno ha preso i voti che ha conquistato Berlusconi: An era un partito del 14%. Il PdL sfiora il 40%”. Combattere il Premier sarebbe inoltre, secondo il ministro, senza senso. Se Fini dovesse mai prendere il suo posto sarebbe, spiega, “una vittoria di Pirro, un ‘muoia Sansone con tutti i filistei’”. Nel rapporto con gli alleati, Matteoli riconosce che la dichiarazione con cui ieri il Presidente della Camera ha definito “stronzi” coloro che discriminano gli immigrati, non sia stata gradita alla Lega. “Prendiamo atto che questo dibattito crea tensioni nella maggioranza”.

sabato 21 novembre 2009

Lo spauracchio delle elezioni

"Le leggi ad personam di Berlusconi giocano a rimpiattino con i processi ad personam. Per rimediare a sentenze annunciate la maggioranza, se non vuole esplodere, deve turarsi il naso"
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«Mai pensato a elezioni anticipate» ha detto Silvio Berlusconi mercoledì 18 novembre. In realtà a far saltare il tavolo il Presidente del Consiglio ci pensa sul serio e da tempo. La sortita del Presidente del Senato («Elezioni se non si torna uniti») di martedì 17, che certo non può scandalizzare dopo quelle del Presidente della Camera, non era un bluff, ma la presa d’atto, a freddo, di una situazione insostenibile. Ed è impensabile che il capo del governo non ne fosse a conoscenza.
Chi conosce bene Berlusconi sa che dentro di sé si muove ininterrottamente il dialogo tra la pancia e il cervello. Gli dice la pancia: «Che aspetti a far saltare il tavolo? Hai un Presidente della Repubblica che non sta certo dalla tua parte, una Corte costituzionale che per la sua composizione politica da 15 anni è contro di te, una magistratura che vuole azzopparti a ogni costo, il tuo principale alleato che recita come preghiera del mattino il menu per mandarti storta la giornata. Hai avuto un consenso enorme alle elezioni, ma non sai che fartene. Dammi ascolto: fa’ saltare il tavolo e ne vedremo delle belle».
Risponde il cervello: «È vero che il lodo Alfano è stato concordato fino all’ultima virgola con i collaboratori di Giorgio Napolitano e che la Corte costituzionale mi ha fatto una carognata smentendo se stessa. Ma in fondo l’attuale presidente della Repubblica mi è meno ostile dei suoi predecessori. Certo, Gianfranco Fini sa che se faccio saltare il tavolo il primo a rimetterci sarebbe lui. Ma poi dovrei allearmi con Pier Ferdinando Casini, oltre che con la Lega. E chi mi dice che Pier mi darebbe meno problemi di Gianfranco? Il desiderio di punire Fini è forte, ma chi mi assicura che alla fine il quadro sarebbe migliore? Se si potesse trovare un accordo…».
Negli ultimi tempi la pancia del Cavaliere era nettamente in vantaggio sul cervello, ma la dichiarazione di mercoledì ha segnato una forte e chiara inversione di fronte. In apparenza. In realtà, a mio giudizio, Berlusconi ha inviato a Fini un ultimo avviso: «Vedi? Io mi muovo da statista, derubrico i nostri scontri furiosi a “dialettica interna che accentua le nostre capacità ideative”. Voglio governare cinque anni e attuare il programma che abbiamo scritto insieme. Adesso, caro Gianfranco, tocca a te. Raccogli il mio ramoscello e fanne buon uso. Perché se l’opinione pubblica dovesse avere nuove prove di una nostra divisione…».
Fini in realtà ha un solo modo di ricucire con Berlusconi: garantirgli il pieno appoggio sulla vicenda giudiziaria. Quindici anni di storia ci hanno insegnato che le leggi ad personam di Berlusconi giocano a rimpiattino con i processi ad personam. Le sentenze Mills ne sono l’ultima prova: quella d’appello dice il contrario di quella di primo grado (nessuna promessa e nessun accordo prima della testimonianza, una regalia dopo), ma l’avvocato inglese è stato ugualmente condannato, nonostante in altri casi la giurisprudenza sia diversa. E resta il macigno di una mancata prescrizione «ad personam»: secondo i giudici di Milano, la corruzione scatta non dal momento in cui un signore percepisce i soldi, ma da quando comincia a spenderli…
Per rimediare a sentenze annunciate, se la maggioranza non vuole esplodere, deve turarsi il naso. Magari prendendo qualcosa di buono dai vecchi disegni di legge dei Ds e affiancandovi la riproposizione del lodo Alfano per via costituzionale. Fini ha tutto l’interesse a tamponare la situazione: se anche Gianni Alemanno si schiera nettamente dalla parte di Berlusconi, rischia l’isolamento. Lui mostra di non curarsene guardando ai tempi lunghi. Ma sa che il Cavaliere non accetterebbe di farsi indebolire come un toro fiaccato dalle banderillas prima della stoccata finale. E allora, forse, il ramoscello d’ulivo… (Bruno Vespa - Panorama n. 48 del 2009)

Immigrati, Fini: stronzo chi li dice diversi

La replica di Roberto Calderoli: e pure chi li illude
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Basta giri di parole. Inutile utilizzare mezzi termini: Gianfranco Fini va dritto e si scaglia contro chi usa "qualche parola di troppo" nei confronti degli immigrati. È uno "stronzo", ha detto il presidente della Camera, "chi afferma che gli immigrati sono diversi" da noi. Nel corso di un incontro nel centro 'Semina' di Torpignattara a Roma con i ragazzini, per la maggioranza stranieri, tra gli 8 e i 18 anni, dell'Associazione "Nessun luogo è lontano", Fini si è a lungo intrattenuto con i giovani, rivolgendo loro diverse domande. Ha chiesto loro se "qualche volta gli pesa essere qui. C’è qualcuno che ve lo fa pesare? O qualche volta c’è qualche stronzo che dice qualche parola di troppo?". I ragazzini ridono e il presidente della Camera prosegue: "Uso questa parola perché se qualcuno dice che siete diversi la parolaccia se la merita: voi la pensate io la dico".
Pronta la risposta di Calderoli. "Fini ha perfettamente ragione a dire che è stronzo chi dice che lo straniero è diverso. Ma è altrettanto stronzo chi illude gli immigrati". Così il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli. Che prosegue: "È una stronzata, per usare il linguaggio di Fini, illudere gli extracomunitari che il nostro è il Paese di 'Bengodi' e che c'è lavoro per tutti, visto che il lavoro manca in primo luogo ai nostri cittadini. Fare questo è pura demagogia e allora si spalancano le porte a migliaia di persone destinate a finire nella rete delle illegalità, della criminalità o dello sfruttamento". Poi conclude: "E non è dando il voto che si risolvono i problemi dell'integrazione: uguali sì, lo sono tutti gli uomini quando nascono, ma l'integrazione e l'accoglienza prevedono non delle belle frasi ma degli atti concreti e molta intelligenza nel sapere costruire. E, per finire, l'uguaglianza d'origine prevede che ci sia anche un cammino di civiltà condivisa, senza la quale si crea solo lo scontro tra popoli e tra culture".
Attacco alla stampa. Fini bacchetta la stampa e i media per i continui riferimenti etnici nei reati che possono indurre i cittadini a credere "nell'equazione: straniero uguale delinquente. È un modo superficiale di informare", ha detto il presidente della Camera, rispondendo ad una domanda di uno dei giovani dell'Associazione che lavora per l'integrazione degli stranieri in Italia. "Se un romeno - ha aggiunto l'ex leader di An - o un eritreo scippa una signora italiana il titolo è 'Romeno scippa...'. È un modo scorretto, superfluo e impreciso di informare: ci sono stranieri delinquenti così come ci sono italiani delinquenti, ma gli uomini sono tutti uguali e devono essere trattati nello stesso modo dalla legge, dalla stampa e dalla politica". Ecco perché, ha concluso, "sarebbe bello se l'informazione non titolasse con riferimenti etnici perché altrimenti si può diffondere tra i cittadini l'equazione: straniero uguale delinquente".
Un bimbo: "Come convincerà la destra?". "Come farà lei a convincere quelli di destra sui temi dell’immigrazione?" È la domanda che un ragazzino dell’associazione, per l’accoglienza e l’integrazione dei giovani stranieri in Italia, ha rivolto al presidente della Camera. Domanda che l’ex leader di An ha accolto con una sonora risata, ma che ha ottenuto anche una risposta più articolata: "Questa è una bella domanda" risponde il presidente di Montecitorio sorridendo, "te l’hanno suggerita o l’hai pensata tu?", domanda sempre con il sorriso. Poi, più serio aggiunge: "Bisogna discutere di questi temi e bisogna convincere chi non la pensa come me: ma sono sicuro che se viene qui qualche amico di destra, ma anche di sinistra, e parla con voi vedrete che si convincono. Certo - sottolinea Fini - se parlano da un bel salotto elegante di cose che sanno per sentito dire non si convin-ceranno mai. Ma saranno loro in torto - conclude -, non certo voi".
Difesa della Bossi-Fini
Gianfranco Fini difende la legge sull'immigrazione che porta il suo nome accanto a quello del leader della Lega Umberto Bossi, la cosiddetta 'Bossi-Fini', il cui impianto è tuttora giusto, anche se, per il presidente della Camera, un paio di modifiche sarebbero ora necessarie. "Sostanzialmente condivido oggi come allora la filosofia della legge", ha risposto Fini nel corso di un incontro con i giovani di una associazione che lavora per l'integrazione degli stranieri in Italia, dal nome 'Nessun luogo è lontano’, tenutasi oggi nel centro 'Semina', situato nei locali di una ex scuola media di Roma. "La regola di quella legge è che se hai un contratto di lavoro puoi stare in Italia ed è una regola che trovo giusta, anche perché è un provvedimento che ha funzionato bene, ha spiegato l'ex leader di An". "Oggi - ha tuttavia aggiunto - farei un paio di modifiche: allungherei ad un anno il periodo per trovare lavoro nel caso in cui si interrompa il rapporto lavorativo vista la crisi che stiamo vivendo". L'altra modifica, ha proseguito, è relativa alle modalità per il rinnovo del permesso di soggiorno per le quali si dovrebbero sveltire le pratiche burocratiche consentendo ai consolati di svolgerle ed evitando così il ritorno nei paesi di origine che "non ha senso". (Libero-news.it)

giovedì 19 novembre 2009

Una giornata contro gli abusi sui bambini

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Più dell'85% dei dei bambini dai 2 ai 14 anni nel mondo è vittima di qualche forma di violenza, dalle punizioni corporali alle peggiori forme di abuso; 40 milioni sono abusati sessualmente, 1,2 milioni vengono trafficati, oltre un miliardo vivono in zone di guerra o conflitto, 218 milioni sono costretti a lavorare (quasi mezzo milione in Italia).
L'associazione Terre des Hommes con la sua campagna del Fiocco Giallo invita tutti a dire: “IO proteggo i bambini, SI’ alla prevenzione contro gli abusi” in occasione del 19 novembre, Giornata Mondiale per la prevenzione dell'abuso sull'infanzia. Contemporaneamente è possibile sostenere, fino al 22 novembre, la Campagna di Terre des Hommes donando 2 euro con un SMS al 48543 da cellulari TIM, Vodafone, Wind e 3, nonché da rete fissa Telecom Italia. Questa donazione si trasformerà in un'azione concreta in aiuto dei bambini vittima di violenza.
I fondi raccolti con la campagna saranno destinati a finanziare i progetti di lotta e prevenzione alla violenza sui bambini e, in particolare, le attività della “Casona”, il Centro di assistenza alle vittime di tortura di Terre des hommes Italia a Bogotà, unica struttura nel suo genere esistente in Colombia. Dal 2002 ad oggi ha soccorso oltre 4.000 persone, principalmente desplazados (profughi, sfollati interni), molti dei quali bambini. I pazienti vengono trattati con terapie olistiche di lungo periodo per poter riacquistare il proprio equilibrio e la fiducia nel futuro e nelle altre persone.
Promossa dalla Fondazione Summit Mondiale delle Donne di Ginevra la campagna quest'anno unisce quasi 800 organizzazioni non governative di 127 Stati. In Italia hanno raccolto l'invito oltre 130 siti e blog, compreso il portale dell'ANSA. (Ansa)

Identificato colui che chiamò la famiglia Orlandi

Identificato il 'telefonista' Mario. Dopo 26 anni c'è il primo indagato nel giallo di Emanuela Orlandi
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Dopo oltre 26 anni l'inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi registra la prima svolta concreta: un volto e un nome finiti sul registro degli indagati. Si tratta di “Mario” il telefonista.
Nella telefonata con lo zio di Emanuela, l’uomo, con un forte accento romano, disse di avere 35 anni. Sosteneva di aver visto un uomo e due ragazze che vendevano cosmetici, una delle quali diceva di essere di Venezia e di chiamarsi Barbara. Quando gli viene chiesta l’altezza della ragazza, disse di non saperlo. In sottofondo si sentiva anche una seconda voce.
Nel corso di una deposizione al Procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo insieme con il Pm Simona Maisto, la superteste Sabrina Minardi, che era stata legata sentimentalmente al capo della banda della Magliana, Enrico De Pedis detto Renatino, ha confermato che Emanuela Orlandi è morta, ed ha riconosciuto la voce del telefonista Mario, che in realtà era un pregiudicato affiliato alla banda della Magliana e in particolare agli ordini di Enrico De Pedis, che secondo la ricostruzione degli investigatori è colui che avrebbe gestito il sequestro.
Emanuela Orlandi, figlia di un commesso della prefettura della Casa pontificia, scomparve in circostanze misteriose il 22 giugno 1983 all’età di 15 anni. Dopo le dichiarazioni rese da Sabrina Minardi la procura ha dato nuovo impulso agli accertamenti. Nei confronti di Mario la Procura procede per il reato di omicidio plurimo aggravato dalle sevizie e dalla minore età della vittima e sequestro di persona a scopo di estorsione. E’ presumibile che l’uomo venga raggiunto da un provvedimento cautelare per chiarire la sua posizione nell’ambito della vicenda.
Al magistrato Sabrina Minardi ha fatto un lungo racconto ricostruendo con maggiori particolari e con più logica il racconto che aveva fatto già nel giugno dello scorso anno quando rivelò che a Torvajanica all’interno di un cantiere c’era una betoniera dentro la quale erano stati gettati due sacchi, contenenti due corpi. Secondo il suo racconto uno era quello di Emanuela Orlandi, uccisa qualche mese dopo il sequestro. La Minardi non vide il corpo della Orlandi, seppe che si trattava della ragazza da De Pedis, che accompagnò in un cantiere a Torvajanica. Con De Pedis c’era un altro uomo che non è il telefonista. La teste ha ora chiarito che il secondo corpo non era quello di Domenico Nicitra. «Di Nicitra l’ho saputo anni dopo da altre persone in circostanze simili», ha ammesso la Minardi. Domenico Nicitra, 11 anni, figlio di Salvatore, imputato al processo della banda della Magliana, scomparve il 21 giugno 1993 assieme allo zio Francesco, fratello del padre. De Pedis era già morto: venne ammazzato il 2 febbraio 1990.
Le ultime novità sul caso Orlandi sono vissute dalla famiglia di Emanuela come una «svolta importante, tutta da verificare». Restano comunque scettici sul coinvolgimento della Banda della Magliana nella vicenda, visto il risultato degli accertamenti svolti in passato. A riassumere i sentimenti di Maria Orlandi, la mamma di Emanuela e dei famigliari, è l’Avvocato Massimo Krogh: «la famiglia - spiega il legale - non ha mai abbandonato la speranza che Emanuela sia viva ma come sempre ha fiducia nella magistratura e attende che i fatti siano verificati». «Sono passati 26 anni nell’attesa di riabbracciarla»: Maria Orlandi, la madre di Emanuela, parla con voce serena ma preferisce evitare commenti sugli sviluppi dell’inchiesta che hanno portato la procura di Roma a iscrivere nel registro degli indagati il misterioso telefonista «Mario», che chiamò la famiglia pochi giorni dopo la scomparsa della ragazza. «Non voglio sapere nulla - dice -. Emanuela ce l’ho nel cuore, sempre presente nel mio cuore. Vivo per lei». Oggi una parente ha telefonato alla signora Orlandi per informarla delle novità delle indagini su Mario. «Si sentono cose...- dice Maria, perplessa - Aspettiamo, vediamo se sono vere o se è una bolla di sapone. Sono passati così tanti anni e lo hanno individuato adesso?». Dall’inizio di questa tormentata vicenda, la madre di Emanuela non ha mai cambiato atteggiamento: «Ogni notizia mi sembra che tutto sia successo ieri. E’ un romanzo che continua. Mio marito Ercole in una trasmissione televisiva disse: Se Emanuela è morta, ci dicano almeno dove per poterle portare un fiore. Ma in tutti questi anni nessuno si è fatto vivo». Il padre di Emanuela, dipendente vaticano, è morto cinque anni fa, all’inizio di marzo del 2004. Un mese prima, intervistato in un programma tv, aveva detto: «Noi tutti in famiglia, dopo vent’anni, crediamo che Emanuela sia ancora viva, in qualche parte del mondo. Mi raffiguro Emanuela non come una bambina ma da donna adulta, come credo che oggi sia. Andiamo avanti sempre con questo pensiero ed in famiglia la speranza è sempre viva, perchè mai nessuno ha parlato di Emanuela come morta, ma tutti, sempre, come viva. Noi speriamo veramente che sia ancora viva e andiamo avanti, finchè ci sarà la salute, per arrivare alla verità».

Contrordine, il mondo non finirà nel 2012

Esperto di Nostradamus smonta la previsione Maya
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Ranucio Boscolo, uno dei maggiori esegeti delle profezie del grande astrologo francese, smentisce la tesi che non trova supporti nell’ambito della comunità scientifica, ma avverte: “Accadrà qualcosa legata al sole, forse un’eclisse”.
Catastrofi, cataclismi, distruzioni. Cosa accadrà il 21 dicembre del 2012? In questa data, che corrisponde alla fine di uno dei cicli del calendario Maya, secondo aspettative diffuse attraverso siti internet, libri, documentari e pellicole cinematografiche, tra cui il recente film 2012, appunto, dovrebbe verificarsi un qualche significativo evento storico, forse la fine del mondo. La tesi catastrofista, che non trova supporti nell'ambito della comunità scientifica, viene smentita all'Adnkronos da Ranucio Boscolo, uno dei maggiori esegeti delle profezie di Nostradamus e del suo maestro Sigismondo Fanti, autore della Summa Prophetica, alla quale si ispirò il grande astrologo francese.
“Nel 2012 non ci sarà la fine del mondo - sostiene Boscolo - la catastrofe che qualcuno ha propagandato potrebbe rivelarsi la solita americanata. Ogni volta che sono piovute interpretazioni sensazionali sulla fine del mondo si sono sempre rivelate bolle di sapone”. In particolare Boscolo, a suffragio della sua tesi, richiama un verso di una citazione contenuta negli scritti di Fanti: “Quando l'auge del Sol in Capricorno”. Questa frase, spiega l'esegeta, “indica il sole al 21 dicembre”. Da qui la deduzione secondo la quale, “qualunque cosa avverrà quel giorno sarà legata al sole e a qualunque effetto astronomico che avrà sugli altri pianeti”.
“Probabilmente Fanti si riferiva a un fenomeno astronomico come potrebbe essere un'eclisse - spiega Boscolo - dopo la quale il mondo dovrà ritornare al sole. Ci auguriamo che il mondo aprirà gli occhi su una nuova realtà”. E se c'è chi pensa agli Ufo, Boscolo ricorda anche che “il 2012 corrisponde al 5772 nel calendario ebraico, una data importante, in cui potrebbe verificarsi il raggiungimento del vero confronto tra Occidente e Oriente”. Potremmo perciò aspettarci “il raggiungimento di un equilibrio tra i due blocchi seguito a un grande confronto. Ci potrebbe essere una nuova Lepanto - aggiunge lo studioso - Non sarà tutto rosa e fiori, ma l'importante è saper cogliere i segnali del sole: quando ci sono segni nel sole non vanno mai presi sottogamba”. (Adnkronos)

Brasile: I Giudici votano per estradare Battisti

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Il Tribunale Federale Supremo del Brasile ha dato il via libera (per cinque voti a quattro) all’estradizione verso l’Italia di Cesare Battisti, condannato in Italia a quattro ergastoli e attualmente in sciopero della fame. Il voto decisivo è stato quello del presidente dell’alta corte, Gilmar Mendes, che ha ritenuto che gli assassinii per cui Battisti è stato condannato sono "crimini comuni" e non "politici". Ma poi il tribunale per 5 voti a 4, ha lasciato l'autorità sulla decisione finale in merito all'estradizione al Presidente Luiz Inacio Lula da Silva.
Lunga camera di consiglio I giudici hanno emesso il decreto di estradizione, ma poi sono tornati nuovamente in camera di consiglio per decidere se la firma del presidente Lula fosse un atto dovuto o discrezionale. E' stata questa seconda ipotesi che è passata e il presidente brasiliano ha l'ultima parola: sì o no all'estradizione.
Mendes: Lula vincolato dal diritto internazionale Anche il presidente Luiz Inacio Lula da Silva è vincolato dal diritto internazionale, e sarà quindi nell'obbligo di estradare Cesare Battisti se lo deciderà il Supremo Tribunal Federal. Lo ha affermato il presidente della Corte suprema, Gilmar Mendes, nel giustificare il suo voto "determinante" a favore dell'estradizione dell'ex terrorista rosso. "Il diritto internazionale, come il trattato di estradizione tra Italia e Brasile, è un impegno adottato dal governo brasiliano che il presidente Lula dovrà rispettare".
Il ministro Alfano: "E' il coronamento di un lavoro di anni e l’affermazione di un principio importante e cioè che Battisti è un assassino e non un detenuto politico. Battisti merita di essere recluso nelle prigioni italiane così come accade ai condannati italiani".
Il ministro Frattini: La decisione del Tribunale supremo è la "fine di una profonda amarezza". Così, con "grande soddisfazione", il ministro degli Esteri Franco Frattini ha accolto la notizia. "La decisione della Corte soddisfa infatti un’esigenza fondamentale di giustizia per la quale le istituzioni e il mondo politico italiano si sono battuti per difendere e promuovere gli interessi più alti dello Stato. L’esito della vicenda premia la linea di responsabilità e di rispetto adottata dal governo italiano, una linea che non ha mai mancato di sottolineare gli storici legami di amicizia che uniscono Italia e Brasile".
L’aula della Camera dei Deputati ha salutato con un lungo applauso la notizia sull’estradizione di Battisti. È stato il deputato del PdL Massimo Corsaro a dare l’annuncio all’assemblea. "Credo che l’applauso unanime della Camera non abbia bisogno di alcun commento", ha commentato il vice-presidente di turno Maurizio Lupi. "Questa è la migliore risposta che il parlamento poteva dare a chi per un attimo aveva immaginato che il Brasile non fosse un Paese amico e che l’Italia non fosse un Paese in grado di giudicare con tutti i crismi della regolarità un imputato".
Anche l’opposizione ricorda la comune battaglia condotta per l’estradizione. "E' una bella notizia che ripaga le famiglie delle vittime del terrorista delle tante umiliazioni e provocazioni subite in questi mesi", ha commentato il segretario dell’Unione di centro Lorenzo Cesa. "E' una vittoria del Paese, della giustizia e della democrazia", ha detto anche Massimo Donadi, capogruppo Idv alla Camera, "l’unità di tutte le forze politiche è stata determinante per raggiungere questo obiettivo". "Hanno avuto successo gli sforzi compiuti dal governo, in sintonia con il parlamento e il Paese", sottolinea Marco Minniti (Pd), che aggiunge: "È importante che un condannato per reati gravi di terrorismo sconti la pena in Italia".
Soddisfazione viene espressa dai presidenti dei due rami del Parlamento. Il presidente del Senato, Renato Schifani: "È giusto che Battisti sconti la pena in Italia per i gravissimi reati commessi nel nostro Paese e che tanta sofferenza hanno causato ai familiari delle vittime". Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, esprime "viva soddisfazione. Questa decisione nel rinsaldare gli storici vincoli di amicizia tra due Paesi che appartengono alla medesima civiltà giuridica, permette di sperare in una rapida e positiva conclusione di una vicenda che ha profondamente turbato l’opinione pubblica italiana".
"Bene il via libera del Tribunale supremo federale brasiliano all'estradizione in Italia dell'ex terrorista dei Pac": così Matteo Brigandì, capogruppo della Lega Nord in commissione Giustizia a Montecitorio che sottolinea: "Finalmente ci sarà giustizia anche per i parenti delle vittime di quegli efferati omicidi. Battisti come è giusto che sia sconterà ora la sua pena nelle patrie galere. D'altronde - conclude Brigandì- pensare che il processo contro Battisti non abbia avuto il debito garantismo non può che considerarsi un falso invocato dallo stesso Battisti, a pretesto, per sfuggire dalle proprie responsabilità".
"Dedico la vittoria, se verrà, a tutte le persone oneste", ha detto Alberto Torregiani ai microfoni di SkyTg 24. Spero che la gente comune capisca che, al di la' delle storie montate da chi delinque la giustizia a volte vince".
"Potrebbe essere anche per un solo giorno, ma vorrei che fosse giudicato finalmente colpevole, e pagasse le sue colpe". Così Adriano Sabbadin, figlio di Lino, una delle persone uccise dai Pac alla fine degli ani '70, commenta la decisione. ''Non nutro rabbia o rancore nei confronti di Battisti - aggiunge Sabbadin, parlando anche a nome delle due sorelle - ma questo verdetto è giusto. Se Battisti fosse rimasto dov'era i nostri cari sarebbero stati ammazzati due volte". Quando i Pac fecero irruzione per una rapina nella macelleria di Catlana (Venezia) di Lino Sabbadin, il 16 febbraio 1979, Adriano aveva 17, ed era il più grande dei tre figli dell'uomo. "Quando mio padre morì - ricorda - le mie sorelle avevano una 12 e l'altra 6 anni. Spettò a me sostenere la famiglia. Abbiamo provato io e le mie sorelle che cos'é il 'carcere', non il signor Battisti".
Tarso Genro, ministro della Giustizia del governo Lula che aveva concesso l'asilo politico a Cesare Battisti, si è detto "sorpreso" dal cambiamento di giurisprudenza che implica la decisione del Supremo Tribunal Federal a favore dell'estradizione dell'ex terrorista. "Ci dobbiamo inchinare di fronte al funzionamento dello Stato di diritto - ha detto Genro -. Ma sono stupito dal cambiamento di atteggiamento del potere giudiziario".
E' considerato un soggetto nei confronti del quale adottare tutte le misure di sicurezza possibili: nel caso in cui il Brasile ne concederà definitivamente l'estradizione, pertanto, per Cesare Battisti scatterà il piano di rientro "di fascia A". Uomini dell'Interpol lo andranno a prelevare a Brasilia e, dopo averlo preso in consegna dalla polizia locale, lo riporteranno in Italia, come spesso in casi come questo, probabilmente con un volo di Stato. Il volo di linea, infatti, viene escluso per i soggetti pericolosi per non mettere a rischio gli altri passeggeri ma anche nei casi di grande impatto mediatico, com'é quello di Battisti. L'Interpol comunicherà la data e l'ora dell'arrivo al ministero della Giustizia: una volta giunto in Italia, Battisti sarà consegnato dall'Interpol alla polizia di frontiera che gli notificherà il provvedimento di cattura. Il passaggio successivo sarà la consegna dell'ex terrorista alla polizia penitenziaria. Sarà, infine, la polizia penitenziaria a portare Battisti nel carcere che il Dipartimento per l'amministrazione penitenziaria avrà scelto per lui.

mercoledì 18 novembre 2009

Berlusconi: "Mai pensato alle elezioni anticipate"

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A mettere la parola fine alla ventilata ipotesi di elezioni anticipate è il Presidente del Consiglio. Berlusconi smentisce di averci mai pensato e torna a ripetere una "profezia" già annunciata altre volte in passato: la legislatura durerà cinque anni. In una nota il Premier spiega la propria posizione: "Vedo con stupore che si stanno moltiplicando e diffondendo notizie che continuano a fare apparire come imminente un ricorso alle elezioni anticipate. Non ho mai pensato a niente di simile. Il mandato che abbiamo ricevuto dagli elettori è di governare per i cinque anni della legislatura, ed è questo l’impegno che stiamo già portando avanti con determinazione e che intendiamo concludere nell’interesse del Paese". "La maggioranza che sostiene il governo è solida anche al di là di una dialettica interna che comunque ne accentua le capacità ideative. Grazie a questo sostegno ed alla fiducia che ci manifesta ogni giorno oltre il 60% degli italiani completeremo le riforme di cui l’Italia ha bisogno".
Capitolo chiuso? E' ancora presto per dirlo. Berlusconi ha ribadito che non ha intenzione di riportare gli italiani alle urne. Vuole continuare il suo lavoro a Palazzo Chigi. Ha i numeri per farlo. Il segnale agli alleati è chiaro: se qualcuno vuole rompere se ne assuma la responsabilità di fronte agli elettori.
Il Premier, conversando con i giornalisti a Montecitorio sull’ipotesi di un nuovo incontro con Fini, afferma: "Ho già avuto un incontro con Fini. Secondo me non c’è nulla da chiarire". Poi un chiarimento sulle parole del Presidente del Senato Renato Schifani: "Ha detto che se cade la maggioranza, non si può pensare a una maggioranza diversa da quella che hanno votato gli Italiani. Permettetemi di dire che ha detto una cosa ovvia".
Il Presidente del Consiglio, a chi gli chiede se ha invitato i suoi alleati, Gianfranco Fini in testa, ad accelerare sulla giustizia, risponde di non aver chiesto a nessuno di accelerare sulla giustizia. Secondo indiscrezioni in questi giorni si è parlato dell’intenzione del Cavaliere di stringere i tempi per ottenere il via libera politico dei suoi alleati sul cosiddetto processo breve prima di Natale. Sulla richiesta di dimissioni da parte dell'opposizione per il sottosegretario Nicola Cosentino, Berlusconi ha fatto sapere che non intende intervenire.
Il leader del Carroccio, il ministro Umberto Bossi, risponde in Transatlantico ai giornalisti che gli chiedono se ha timori sulle sorti del governo: "Berlusconi e Fini si siederanno uno di fronte all’altro e troveranno le soluzioni. Il governo non rischia e noi non rischiamo". "Alla fine le soluzioni si troveranno", rassicura il Senatur.
Il ministro delle politiche agricole Luca Zaia, a proposito delle polemiche riguardanti una possibile interruzione anticipata della legislatura, interviene così: "Si deve parlare di crisi solo quando la crisi c’è; tutto questo avvoltolarsi della politica attorno a parole vuote ha l’unico effetto di determinare smarrimento nei cittadini". "Questo è un rigurgito di autoreferenzialità che fa perdere di vista gli interessi concreti dei cittadini, perchè la crisi vera, quella delle campagne, dei prezzi agricoli e le difficoltà della gente, non si risolvono con incomprensibili e nascoste battaglie di potere".
Dopo l'invito del Presidente del Senato, Renato Schifani, a percorrere la strada delle elezioni in caso di "maggioranza divisa", il numero uno di Montecitorio Gianfranco Fini aveva invitato tutti alla prudenza. Ma dal quartier generale del Carroccio, il ministro dell'Interno Roberto Maroni non aveva escluso l'ipotesi del ricorso anticipato alle urne: "Per fare le riforme ci vuole una maggioranza compatta e noi abbiamo una vasta maggioranza e non abbiamo alibi, non possiamo dire che l’opposizione ci blocca. Se quindi la maggioranza è divisa, l’alternativa non può che essere quella indicata da Schifani".
Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Altero Matteoli, dichiara: "La dichiarazione del presidente Berlusconi fa tabula rasa di tutte le illazioni e a volte delle malignità tutte mirate a indebolire il capo del governo e la sua leadership politica del centrodestra. Il chiarimento è quanto mai necessario per sgombrare il terreno dai dubbi che legittimamente erano venuti dal tam tam mediatico. Il governo e la maggioranza sono solidi e hanno il dovere di andare avanti per realizzare il programma sul quale i cittadini si sono chiaramente e ampiamente espressi".
Il leader centrista, Pier Ferdinando Casini, afferma: "Minacciare elezioni anticipate è come brandire una pistola scarica, mi meraviglio della disinvoltura del Presidente Schifani, giudico improprie e inopportune le sue parole". "In assenza del Capo dello Stato dall’Italia ci sarebbe voluta una maggiore sensibilità istituzionale. Minacciare le elezioni è un fatto del tutto sterile". "Le elezioni anticipate vengono evocate in funzione ricattatoria nei confronti dei parlamentari ma non c’é nessuna possibilità che si vada alle urne anticipatamente: c’é una maggioranza che ha il dovere di governate fino alla fine della legislatura indipendentemente dalle situazioni giudiziarie del presidente del Consiglio e degli eventuali giudizi della magistratura. E’ giusto che Berlusconi governi fino alla fine della legislatura rispettando il vincolo del mandato. Peraltro non mi sembra ci siano ragioni di paralisi se il governo cominciasse a lavorare”. “Nell’eventualità che il governo decidesse di auto-affondarsi, il Presidente della Repubblica dovrebbe dare un incarico e non sarebbe difficile creare un’altra maggioranza parlamentare che si può trovare in cinque minuti. Invece che perdere tempo a minacciare consigliamo al governo di cominciare a lavorare: gli italiani si aspettano che il governo lavori e risolva la crisi”.
Fabrizio Cicchitto, nel suo intervento a La telefonata, la rubrica di Maurizio Belpietro in onda su Mattino 5, commenta così le tensioni nel PdL: “Noi abbiamo avuto un’investitura dagli elettori sulla base di un programma preciso che dobbiamo realizzare. Questo implica che ci sia unità della maggioranza e del PdL. Un’unità non da caserma, come dicono tutti coloro che poi ogni giorno manifestano elementi di dissenso. Un’unità nel dibattito. Quindi, la via maestra è quella di rimettere in campo nel PdL tutte le questioni controverse e portarle negli organismi dirigenti del partito. Lì maggioranza e minoranza si confrontano, ma poi la minoranza deve seguire quello che decide la maggioranza. E’ quanto avviene in tutti i partiti normali e credo sia la strada per evitare elezioni anticipate, drammi e traumi e andare avanti”. “Io mi auguro - dice Cicchitto - che Berlusconi e Fini vadano d’amore e d’accordo. Però, in un partito normale, se ci sono elementi di disaccordo il confronto è all’interno di quel partito e dei suoi organi dirigenti. Il mio appello ai coordinatori nazionali è di convocare gli organismi dirigenti del PdL settimanalmente o quindicinalmente. E’ là che tutte le questioni controverse vanno risolte. Quello che non è possibile è che perduri una questa situazione in cui ognuno si sveglia la mattina, straparla e poi dice anche che il partito non deve essere una caserma. Perché così si rischia di essere esattamente l’opposto. L’elettorato che ci ha votato non approva assolutamente questi elementi di conflittualità permanente e anche autentiche lesioni al programma che noi abbiamo fatto votare il 13 Aprile del 2008. Quindi io credo si debbano ripristinare le condizioni di un partito che funziona e che determina i suoi orientamenti. Possibilmente all’unanimità. Se non c’è l’unanimità, a maggioranza. Preferisco questo a ipotesi traumatiche che evidentemente sono l’estrema ratio qualora si determinasse una situazione di ingovernabilità. Ma a mio avviso ancora non siamo a questo punto ed è possibile trovare soluzioni in coerenza con la vita di un partito democratico, che per altro verso deve riconoscere la leadership di Berlusconi. Perché noi abbiamo preso i voti in nome di questa leadership e del messaggio che lui ha mandato agli elettori”.
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Voto agli immigrati: Bossi non ci sta
Non usa mezzi termini Umberto Bossi per stroncare la proposta di legge bipartisan (settori finiani del Pdl, Pd, Idv, Udc) sulla cittadinanza degli immigrati. «Noi restiamo della nostra idea: gli immigrati devono essere mandati a casa loro. Non c'è lavoro nemmeno per noi».
Replica di Gianfranco Fini: «Un anatema o una battuta liquidatoria, non risolve il problema».
Mercoledì mattina, guidati da Walter Veltroni con al fianco i finiani Flavia Perina e Fabio Granata, oltre cento parlamentari dei diversi schieramenti hanno formalizzato il deposito di una proposta di legge comune che prevede il riconoscimento del diritto di voto alle comunali ai cittadini di uno Stato straniero non membro dell'Unione europea e agli apolidi, purché risiedano in Italia da almeno 5 anni con regolare permesso di soggiorno. E riconosce il diritto di elettorato passivo ai cittadini stranieri, che potranno candidarsi a consigliere comunale o di circoscrizione. «Qui stiamo parlando di riforme delle regole della democrazia- ha sottolineato Veltroni - e il Parlamento dovrebbe funzionare così: per una volta hanno firmato la proposta di riforma tutti i partiti meno la Lega». A sostegno dell'iniziativa i due promotori, il Pdl Granata e il Pd Sarubbi, hanno ottenuto da Fini di organizzare a Montecitorio un pomeriggio di dibattito-confronto con studenti e giovani di diverso orientamento politico.
«I cittadini di uno stato straniero che risiedono regolarmente in Italia da più di cinque anni possono partecipare alle elezioni degli organi delle amministrazioni comunali». È il primo articolo del testo che porta come prima firma quella di Veltroni (con lui i democratici Enrico Letta, Jean Leonard Toaudi e Andrea Sarubbi) e a seguire Perina e Granata, i centristi Roberto Rao e Pier Luigi Mantini, i pidiellini Aldo Di Biagio e Santo Versace, il dipietrista Leoluca Orlando. Manca solo la Lega, alla quale, spiegano in conferenza stampa Veltroni e Perina, «è stato chiesto di firmare ma si è rifiutata». La proposta di legge dà la possibilità agli immigrati di essere eletti consiglieri e di fare parte della giunta con l'esclusione delle cariche di vicesindaco e, ovviamente, di sindaco. Ma come si vede rischia di essere un nuovo fronte aperto nella maggioranza dopo il caso Cosentino e il tira-e-molla su possibili elezioni anticipate.
Una proposta, ha spiegato Walter Veltroni, dietro alla quale «non ci sono ragioni politiche, ma solo il rispetto del ruolo del Parlamento», e che «risponde ad una priorità nell'affrontare i temi della immigrazione: quella di garantire inclusione e responsabilizzazione». «È indispensabile - aggiunge - evitare che si crei per gli immigrati che risiedono regolarmente nel nostro Paese una condizione di estraneità che può portare alla separazione e all'antagonismo. Il voto amministrativo agli extracomunitari, ha ricordato Veltroni, «è già nella pratica di molti Paesi europei, per l'esattezza 16 su 27, anche se con modalità diverse tra Paese e Paese. Garantire il diritto al voto amministrativo è un modo per favorire l'inclusione e la responsabilizzazione, al contrario dei respingimenti, che sono un'invenzione retorica basata sulla paura».
Fabio Granata, già oggetto di critiche da parte della Lega e non solo per la proposta firmata "in coppia" con il deputato del Pd Sarubbi sulla cittadinanza «breve», e Flavia Perina, direttore de Il Secolo e tra i primi firmatari della proposta sul voto agli immigrati, hanno respinto gli addebiti per l'iniziativa bipartisan che vede nettamente contrario il Carroccio: «Ci sono grandi partite nazionali dove non è possibile criminalizzare o usare schemi di schieramento - sottolinea Perina -. Sarebbe sbagliato considerare il tema del voto agli immigrati, pur all'interno di regole ben definite, come un tabù per la politica italiana. E non ci sentiamo extraterrestri: nei grandi partiti, come il Pdl, c'è l'avanguardia politica, c'è il corpo del partito, e poi c'è la retroguardia politica. Noi ci sentiamo nella prima di queste categorie».
Un freno arriva però da Fabrizio Cicchitto, capogruppo Pdl alla Camera: «È inaccettabile che su un tema così delicato alcuni colleghi appartenenti al gruppo del Pdl abbiano preso l'iniziativa di presentare un disegno di legge firmato con esponenti di tutti i gruppi dell'opposizione, senza che la presidenza del gruppo sia stata minimamente interpellata e tenendo conto che questa proposta non è contenuta nel programma di governo». «D'altra parte - aggiunge Cicchitto - la materia non rientra in quelle riguardanti la bioetica, come il testamento biologico, sulle quali vige la libertà di coscienza». Tornando poi al programma, il capogruppo ha spiegato che nessuno ha il diritto di annullarlo «nè con iniziative unilaterali nè con azioni cosiddette bipartisan».
Secondo uno dei coordinatori del Pdl, Sandro Bondi, la conferenza stampa congiunta Perina-Veltroni «non deve destare scandalo». Va preso atto, sottolinea l'esponente pidiellino, che «è avvenuta una saldatura, innanzitutto sul piano culturale tra la sinistra e alcuni esponenti della destra italiana provenienti dalla storia del Msi e poi di Alleanza nazionale. È un dato nuovo della situazione politica italiana da valutare con attenzione».
Giudizio nettamente contrario, come detto, da parte della Lega. «La concessione del diritto di voto alle elezioni amministrative agli immigrati è un’idea tipicamente di sinistra - commenta il presidente dei deputati Roberto Cota -. Noi, ovviamente, siamo fermamente contrari perché siamo coerenti rispetto agli impegni presi con chi ci ha votato. Il diritto di voto è una cosa seria, sacra, che spetta solo ai cittadini. La precisazione di Cicchitto sulla posizione del Pdl è molto opportuna, altrimenti la gente non capisce più nulla».

Parola agli elettori se non c'è più la maggioranza

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"Compito della maggioranza è garantire che in Parlamento il programma del governo trovi la compattezza degli eletti per approvarlo. Se questa compattezza viene meno, il risultato è il non rispetto del patto elettorale. Se ciò si verificasse, giudice ultimo non può che essere, attraverso nuove elezioni, il corpo elettorale". Lo ha detto il presidente del Senato Renato Schifani, intervenendo all’inaugurazione dell’anno accademico del collegio "Lamaro-Pozzani". Ritorno alle urne atto di coraggio "È sempre un atto di coraggio", ha aggiunto il presidente Schifani, riferendosi al ritorno alle urne, che sarebbe "coerenza e correttezza verso gli elettori. Molti ordinamenti costituzionali da tempo accettano questi fondamentali principi di una democrazia matura. La scelta dei cittadini non va tradita, va rispettata fino in fondo senza ambiguità e incertezze. La politica - ha scandito - non può permettersi di disorientare i propri elettori". "Il compito del Governo è lavorare per realizzare il programma concordemente definito al momento delle elezioni". Lo ha detto il presidente del Senato, Renato Schifani, aprendo l’anno accademico del Collegio Universitario "Lamaro Pozzani". "Compito dell’opposizione è esercitare il proprio ruolo di critica e di proposta alternativa, in coerenza con il proprio mandato elettorale", ha aggiunto il Presidente del Senato.
Bersani: "La maggioranza ha grossi problemi"
"Mi limito a considerare che questa dichiarazione di Schifani equivale a dire: "il centrodestra ha grossi problemi". Lo dice ai giornalisti il segretario del Pd, Pierluigi Bersani, commentando la frase del presidente del Senato sulla necessità che la maggioranza sia compatta altrimenti si torni alle urne. Bersani aggiunge: "vogliamo credere che il centrodestra assieme alla seconda carica della Repubblica non si sentano padroni della conduzione della legislatura. Questo sarebbe davvero singolare".
Donadi: "Una minaccia"
"Credo che quello di Schifani sia più di una minaccia, è l’annuncio di una resa dei conti, è difficile dire come si concluderà ma se il panorama è quello di uno stillicidio nella maggioranza allora meglio andare al voto prima possibile". Così Massimo Donadi, capogruppo Idv alla Camera, commenta le parole del presidente del Senato secondo il quale "se la maggioranza non è compatta è meglio il voto anticipato".
Granata: "No a partito caserma"
"Rifiutiamo l'idea che il partito sia una caserma, sosteniamo la necessità di discutere per arrivare a un buon risultato. Se invece prevale la sindrome del complotto contro il presidente del Consiglio, allora siamo fuori strada". Fabio Granata, parlamentare Pdl fra i più vicini al Presidente della Camera Gianfranco Fini, prende nettamente le distanze dall’ultimatum alla maggioranza del Presidente del Senato Rneato Schifani. "Le questioni sopravvenute in seguito alla bocciatura del lodo Alfano - si domanda Granata commentando le parole di Schifani, ospite alla trasmissione di Youdem Punto dem serà non sono ascrivibili come programma di governo?" Granata, infatti, non nasconde il momento di "forte conflitto" che si è venuto a creare nella maggioranza sul tema della riforma della giustizia, considerata cartina di tornasole della tensione nel partito di maggioranza relativa. E riguardo in particolare alla proposta di legge sul processo breve, "occorre trovare la conditio di costituzionalità e la copertura finanziaria necessaria che non può certo essere garantita dall’idea di poter vendere i beni confiscati alla mafia".
La Russa: "Nervi saldi e idee chiare"
"Ci vogliono nervi saldi e idee chiare: cose che non mancano al Pdl, utilizziamoli". Lo ha detto il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, rispondendo a una domanda dei giornalisti che gli chiedevano un commento sulle dichiarazioni del presidente del Senato Renato Schifani che oggi aveva espresso l’opinione che sarebbe meglio tornare alle urne senza compattezza nel Pdl. Schifani: "Processo breve distinto da riforme"
Politica e riforme, binomio di strettissima attualità. Il presidente del Senato torna su quanto detto ieri sulla "perdita di tempo" che ha portato sin qui a un sostanziale nulla di fatto dall'inizio della legislatura. Ma c'è un rischio fortissimo: che l'aspra polemica in corso sul "processo breve" prenda il sopravvento facendo saltare ogni ipotesi di cambiamento. Proprio per questo Schifani esprime l’auspicio che riforme costituzionali e polemica politica sul ddl che accorcia i processi vengano tenuti "su piani completamente diversi", altrimenti sono a rischio anche le stesse riforme. Incontrando i cronisti a margine di un convegno sul federalismo fiscali, Schifani spiega infatti di ritenere "che ci si muova su piani diversi, quello del processo breve e della riforma ordinaria della giustizia è un problema squisitamente politico. Quando parliamo di riforme costituzionali - dice - dobbiamo volare alto, perché si tocca l’interesse superiore del Paese. Mi auguro che questi piani vengano completamente scissi, altrimenti continuerebbe a passare inutilmente tempo senza che si attui alcuna riforma costituzionale". "Mi auguro - ha aggiunto la seconda carica dello Stato - che tutti i partiti, di maggioranza e opposizione, abbiano un sussulto, non di dignità, perché non mi permetterei di offenderli, ma di volontà politica per dire basta, fermiamoci, basta al litigio, basta alle incomprensioni, riformiamo il Paese e facciamolo nell’interesse superiore dei cittadini". "I temi di politica economica e sociale - ribadisce Schifani - possono rientrare nella dialettica conflittuale fra le parti, ma sulle riforme costituzionali credo che la politica dovrebbe trovare un momento di confronto. Ci si deve confrontare e - conclude - trovare il massimo della condivisione".
Casini: "Trovare un'alternativa a processo breve"
L’Udc chiede al Pd di trovare una soluzione condivisa per evitare che il testo sul processo breve diventi legge. È l’obiettivo che il leader dell’Unione di centro, Pier Ferdinando Casini vuole raggiungere insieme a Bersani, al quale chiederà un incontro per vedere se esiste una via d’uscita possibile al testo presentato dalla maggioranza al Senato e che Casini continua a considerare una "schifezza". "Stiamo lavorando responsabilmente. Ora - ha annunciato Casini al termine di un incontro a Montecitorio con una delegazione dell’Anm guidata dal presidente dell’associazione, Luca Palamara - chiederemo un incontro al Pd per capire se è interessato a trovare una soluzione. Noi, da soli, le montagne non le possiamo spostare. Se c’è la collaborazione di tutti, una soluzione, una terza strada, forse si può trovare. Ma è chiaro che senza sponde è difficile riuscirci". "L’idea di un doppio binario non esiste - ha poi aggiunto Casini sentenziando l’inemendabilità del testo Gasparri-Quagliariello - qui il binario è uno solo: farsi carico della posizione della maggioranza. Il resto sono chiacchiere, tanto gli italiani sanno benissimo quale è il problema. Allora o lo si affronta in modo condiviso, oppure se non lo affronta si andrà al muro contro muro. La politica - aggiunge Casini - impone l’obbligo di assumersi la responsabilità delle scelte, anche di decisioni difficili". (Il Giornale)
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Il dado è tratto. L'aut aut di Silvio Berlusconi a Gianfranco Fini è ormai ufficiale. E a consegnarlo al presidente di Montecitorio è la seconda carica dello Stato in persona. Renato Schifani si tuffa nel dibattito, tutto interno alla maggioranza, e lo fa con il peso della sua carica istituzionale, mettendo nero su bianco quello che in molti, nel Pdl, sussurrano da tempo: "Se la maggioranza non dimostra compattezza, si torna alle urne".
Un messaggio che oltre al presidente dell'altro ramo del Parlamento ha un secondo destinatario: il Quirinale. L'ultima parola, in caso di crisi, spetta infatti al capo dello Stato che, Costituzione alla mano, deve verificare l'esistenza di una maggioranza alternativa. Schifani non discute l'interpretazione rigorosa della carta, ma sembra invitare a tener conto anche della costituzione materiale nel sistema bipolare: se la "compattezza" della maggioranza viene meno, sottolinea il presidente del Senato, "il risultato è il non rispetto del patto elettorale" e se ciò si verificasse "giudice ultimo non può che essere il corpo elettorale". Parole che suonano come una risposta diretta proprio a Fini, che domenica aveva messo in guardia gli alleati sulla tentazione di risolvere i problemi nella coalizione con il ritorno al voto: "Le elezioni anticipate sarebbero il fallimento della legislatura, ma anche del Pdl", aveva detto l'ex leader di An, ricordando in ogni caso che "nessuno, neanche il presidente del Consiglio, può sciogliere le Camere se non il capo dello Stato". E proprio Giorgio Napolitano apprende della tensione che risale nella maggioranza, mentre è in visita in Turchia. Da Ankara Napolitano non fa alcun accenno alla questione, d'altra parte un intervento del Quirinale si realizzerebbe solo quando una eventuale crisi arrivasse in Parlamento. La dichiarazione di Schifani, dietro la quale è difficile non vedere il placet (se non l'imprimatur) di Berlusconi, si trasforma così nell'ultimo avvertimento a Fini: basta distinguo, basta polemiche, basta stoccate continue. E' tempo di dimostrare che la maggioranza è unita e coesa, soprattutto sui temi delicati come quello della giustizia. Al centro dello scontro, infatti, c'é proprio il ddl sul processo breve che si intreccia con la necessità del premier di mettersi al riparo dai processi che lo vedono coinvolto. Sembra però che a far traboccare un vaso da tempo colmo sia stata l'ipotesi, ventilata dai finiani Italo Bocchino e Fabio Granata, di votare la mozione di sfiducia presentata dall'Idv contro il sottosegretario all'Economia Nicola Cosentino, coinvolto nell'inchiesta campana su camorra e rifiuti, al quale Fini ha chiesto da tempo un passo indietro. Una mossa vista come un aperto tradimento dagli ex azzurri e che, per dirla con il berlusconiano Giorgio Stracquadanio, rischia di aprire una crisi nella maggioranza. A questo punto la palla è nel campo dell'ex ministro degli Esteri e dei suoi fedelissimi. Il presidente di Montecitorio non commenta le parole di Schifani. Al momento, però, l'aut aut berlusconiano non sembra sortire gli effetti sperati. Anzi, nonostante sia emersa da tempo la tentazione del Cavaliere di sparigliare il gioco con il ritorno alle urne, le truppe dell'ex ministro degli Esteri proseguono il loro pressing su tre fronti: le regionali, con l'opposizione a Cosentino; la giustizia, con le richieste di modifiche al ddl Gasparri; e l'immigrazione, con l'imminente proposta di legge sul voto alle amministrative per gli immigrati residenti in Italia da almeno 5 anni.
Proposta quest'ultima che di certo non piace alla Lega. Per ora, però, Umberto Bossi preferisce restare alla finestra ed evitare di parlare pubblicamente anche se l'ipotesi di tornare al voto non gli piace. Urne anticipate, è il ragionamento del leader leghista, significherebbero mandare in soffitta le riforme. E poi sarebbe difficile giustificarsi davanti agli elettori. A Bossi, però, non piacciono nemmeno i continui distinguo di Fini in particolare in materia di immigrazione tanto che Roberto Maroni invita la maggioranza alla coesione in nome delle riforme. Fronti che dunque restano aperti e dai quali si getta altra benzina su un fuoco già alto. Tensione alla quale contribuiscono anche i continui attacchi dei giornali vicini al Cavaliere: il Giornale invita Fini a dimettersi e Libero lo accusa di "doppiogioco". Incendio su cui ora, dopo le parole di Schifani, soffiano anche i finiani. Carmelo Briguglio, ad esempio, mette in guardia il premier sui rischi del voto perché, dice, "il passato insegna che le elezioni si possono anche perdere". (Ansa)
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Torna l'immigrazione declinata 'finianamente': nuova cittadinanza e voto alle amministrative. E probabilmente torneranno, come già nelle scorse settimane, anche le polemiche nella maggioranza. Domani sarà infatti un giorno 'ricco', con tre appuntamenti, tra convegni e conferenze stampa, che girano tutti intorno alle tesi del presidente della Camera. Il primo è con Flavia Perina: deputata ritenuta a ragione tra le persone più vicine al presidente della Camera.
La direttrice del 'Secolo d'Italià firma una proposta di legge che dà diritto di voto amministrativo agli immigrati regolarmente residenti in Italia da almeno 5 anni. Di che far digrignare i denti alla Lega Nord, ma anche irritare i fedelissimi di Silvio Berlusconi e i difensori della ortodossia programmatica del Pdl. Non basta, perché con la Perina a firmare la legge c'é un gruppo di deputati rappresentativi dell'intera opposizione, compresa quella visceralmente più antiberlusconiana. C'é l'Udc Roberto Rao, già portavoce di Casini, due esponenti di spicco del Pd pre-Bersani, cioé l'ex segretario Walter Veltroni e Salvatore Vassalo, ma anche il portavoce dell'Idv, Leoluca Orlando.
Gli altri due appuntamenti hanno al centro la contestatissima, nel Pdl, proposta finiana sulla cittadinanza. Il primo convegno è dedicato alla cosiddetta Granata-Sarubbi: la proposta di legge firmata da Fabio Granata, altro fedelissimo di Gianfranco Fini, e il Pd Andrea Sarubbi. Di questa proposta, osteggiatissima da Pdl 'ufficiale' e Lega, parleranno in prima battuta gli aderenti alla "Rete G2" in un convegno alla Camera, dove "G2" sta per seconda generazione di immigrati. All'incontro, potrebbe partecipare lo stesso Fini.
Il presidente della Camera sarà comunque protagonista del secondo appuntamento. A proporre il convegno sulla cittadinanza é del resto proprio la fondazione 'FareFuturo' insieme alla rivista 'Con' di un altro finiano doc, Italo Bocchino. "L'Italia a chi la ama" è l'evocativo titolo del convegno. Il terzo relatore è tutt'altro che un 'avversario' di Berlusconi, trattandosi del suo amico Tarek Ben Ammar, produttore e finanziere tunisino. Difficilmente, però, Ben Ammar potrà evitare di dispiacere all'amico Silvio schierandosi a favore della cittadinanza breve. Insomma, tre appuntamenti sull'immigrazione con un unico denominatore: Gianfranco Fini, l'uomo che oggi 'il Giornale' bolla come 'doppiogiochista' a danno del Cavaliere. Abbastanza per far temere nel centrodestra che si tratti di un colpo di 'carambola' che dopo aver impattato la sponda della Lega vada a colpire appunto il premier. (Ansa)

L’Olocausto sconosciuto degli Italiani in Crimea

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Nel 1830 e nel 1870 giunsero in Crimea, nel territorio di Kerč, due flussi migratori provenienti dall'Italia, soprattutto dalle località pugliesi di Trani, Bisceglie e Molfetta, dal Veneto e dal Trentino allettati dalla promessa di buoni guadagni e dal miraggio di fertili terre quasi vergini.
Erano soprattutto agricoltori, marinai (pescatori, nostromi, piloti, capitani) ed addetti alla cantieristica navale. La città di Kerc si trova infatti sull'omonimo stretto che collega il Mar Nero col Mar d'Azov. Qui costruiscono nel 1840 una Chiesa cattolica romana, detta ancora oggi la chiesa degli Italiani. Da Kerč gli Italiani si diffondono anche in altre località della Crimea: Feodosia (l'antica colonia genovese di Caffa), Simferopoli, Mariupol ed in alcuni altri porti russi della zona, soprattutto a Batumi e Novorossijsk.
Secondo il "Comitato statale ucraino per le nazionalità", gli italiani sarebbero stati nel 1897 l'1,8% della popolazione della provincia di Kerč, percentuale passata al 2% nel 1921. Alcune fonti parlano specificatamente di tremila persone. Nel 1920 la comunità di Kerc ha la chiesa, con parroco italiano, dispone di una scuola elementare, di una biblioteca, di una sala riunioni, di un club e di una società cooperativa. Il giornale locale "Kercenskij Rabocij" in quel periodo pubblica regolarmente articoli in lingua italiana. Con l'avvento del comunismo, inizia però la persecuzione a causa dell'accusa di essere fascisti e parte di essi rimpatria.
A metà degli anni '20 cominciano ad occuparsi della minoranza italiana gli emigrati italiani antifascisti rifugiati in Unione Sovietica. Le autorità sovietiche li inviano da Mosca perché sovraintendano la comunità. Essi ottengono la chiusura della chiesa grazie alle accuse di propaganda antisovietica contro il parroco che è costretto a rientrare in Italia. Nel quadro della collettivizzazione forzata delle campagne gli italiani furono obbligati a creare un Kolchoz che prese il nome di "Sacco e Vanzetti". Quelli che non vollero farne parte, furono obbligati ad andarsene, lasciando ogni avere. A seguito di ciò, nel censimento del 1933 la percentuale degli italiani decresce all'1,3% della popolazione della provincia di Kerch. Ma il peggio deve venire: nel 1935-38 seguono le purghe staliniane e molti Italiani, arrestati con l'accusa di spionaggio, spariscono nel nulla.
Con la liberazione da parte dell'Armata Rossa della Crimea e del Caucaso settentrionale, occupati nel novembre 1941 dalle truppe della Germania Nazista, le minoranze nazionali presenti sul territorio vengono deportate con l'accusa di essere "fasciste", seguendo i destini della minoranza tedesca, che era già stata deportata nell'agosto 1941 all'avvicinarsi dell'esercito tedesco. Seconda a essere deportata è la minoranza italiana, seguiti nel 1944 dalle deportazioni di tutte le altre, tra cui Tatari, Ceceni, Armeni e Greci. Il 29 gennaio 1942 inizia la deportazione degli italiani. L'intera comunità venne radunata, compresi anche i rifugiati antifascisti che si erano stabiliti a Kerč. Poterono portare solo 8 chili di roba a testa, quindi su tre convogli di vagoni piombati iniziarono il viaggio verso l'Asia. Lo stretto di Kerch e il Mar Caspio furono attraversati con navi dove gli italiani vennero confinati nella stiva. Il viaggio durò fino a marzo in quanto i convogli procedettero molto lentamente. Quasi la metà morì nel viaggio, tra cui tutti i bambini. I cadaveri venivano buttati fuori dai soldati durante le ispezioni dei vagoni. Una madre finse addirittura che il suo bimbo fosse vivo, simulando di allattarlo, per poterlo seppellire lei stessa.
Per la precisione il convoglio con gli italiani attraversò i territori di Ucraina, Russia, Georgia, Azerbaigian, Turkmenistan, Uzbekistan e Kazakistan. Via mare da Kerch a Novorossijsk, poi via terra fino a Baku, quindi fu attraversato il Caspio fino a Krasnovodsk ed infine, nuovamente su binari, sino ad Atbasar dove vennero poi sistemati ad Akmolinsk e Karaganda in baracche di fortuna e abbandonati. Ulteriori vittime si ebbero in Kazakistan per i maltrattamenti subiti. Si calcola che forse sopravvisse solo il 20% dell'intera popolazione.
I pochi sopravvissuti rientrarono a Kerč sotto Kruscev. Alcune famiglie si dispersero sul territorio dell'ex Unione Sovietica, negli attuali stati di Kazakistan, Uzbekistan e Russia di cui alcuni nella Repubblica dei Komi.
La popolazione degli italiani di Crimea ammonta attualmente a circa trecento persone, residenti soprattutto a Kerč. (L'Italiano)