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IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO

lunedì 23 novembre 2009

Alfano: "Non hanno i numeri per smentirmi"

Il Pm Armando Spataro va in tv ed attacca il ddl Giustizia
Antonio Di Pietro: delitto di Stato criticare le toghe
Angelino Alfano, sulle prescrizioni, replica alle toghe
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La Giustizia è al centro dell'agenda politica. Se ne discute in parlamento, se ne discute nel Paese. E, ovviamente, se ne discute anche in seno al Governo. Non solo per le auspicate riforme da mettere in cantiere. Si parla anche di risorse economiche. Perché la Giustizia per funzionare meglio ha bisogno non solo di riforme ma anche di soldi. Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, fa sapere che chiederà maggiori risorse nella finanziaria per accelerare la riforma e "ridurre i tempi dei processi rispettando le esigenze dei cittadini. Ecco perché - ha detto Alfano oggi a Milano a margine di un convegno alla Bocconi - in finanziaria chiederò maggiori risorse per la Giustizia, sapendo di poter contare sulla disponibilità dell’intero Governo, del PdL, del presidente della Camera e di tutti coloro che credono nel funzionamento del sistema Giustizia".
Alfano ritiene che "sia Spataro che l’Associazione nazionale dei magistrati non riescono a contraddirmi nel merito" a proposito del numero dei procedimenti penali che verrebbero prescritti se il disegno di legge sul processo breve venisse approvato. "Sia Spataro che l’Anm continuano ad attaccare quel dato senza fornire un’alternativa - dice il ministro a margine di un convegno in Bocconi - e questo fa premio della circostanza che non hanno un numero alternativo da offrire, cioè non riescono a contraddirmi nel merito". Alfano osserva che "taluni giornali hanno parlato di 600mila procedimenti che andrebbero prescritti, altri di 100mila. I magistrati, nonostante si tratti dell’Unità e di Repubblica, non prendono a fonte questi numeri perchè si rendono conto che sono fallaci".
"Nessuno è riuscito a rispondere alla domanda - prosegue Alfano - su come mai tutte le inchieste si siano concentrate su Berlusconi dal 1994 in poi, e non per fatti funzionali alla sua attività, ma dal 1994 a ritroso". "Il Presidente del Consiglio dal 1936 al 1994, cioè da quando è nato a quando è entrato in politica, ha avuto una vita di grandi successi e di grande prestigio ed è stato il Cavaliere del Lavoro più giovane nella storia della Repubblica".
Ieri era stato il procuratore aggiunto di Milano, Armando Spataro, ad aver parlato di paradosso a proposito dell’1 per cento dei processi che verrebbero estinti poiché questo significherebbe che il 99 per cento funziona perfettamente. Il procuratore aveva anche aggiunto che in questi giorni le procure di tutta Italia stanno proseguendo con i conteggi per capire quanti, dal loro punto di vista, sono i procedimenti cadrebbero in prescrizione se il testo di discussione venisse approvato.
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Le loro requisitorie cominciano in aula ma non finiscono mai. Proseguono in tv, nei libri, nei convegni. Antonio Ingroia, procuratore aggiunto a Palermo, va ad Annozero, Armando Spataro, stessi gradi ma a Milano, rompe la quiete domenicale offrendo il suo pensiero in pillole a Lucia Annunziata. È un costume che in Italia va avanti almeno dai tempi del Pool, dei proclami televisivi contro le leggi inique e delle fragorose interviste a tutta pagina di Borrelli che frustava il Palazzo e arrivava a ironizzare sulle abitudini alcoliche dell’allora guardasigilli Alfredo Biondi.
Quindici anni dopo, nel salotto Rai di In mezz’ora, siamo allo stesso punto. Spataro fa a pezzi il processo breve, ironizza sul ministro Alfano «che non si è reso conto del boomerang» rappresentato dalla futuribile legge che vorrebbe accorciare, si fa per dire, a sei anni, la durata dei procedimenti giudiziari, poi se la prende con Berlusconi: «Non abbiamo bisogno di escamotage - spiega - il problema è quello che ha indicato anche il presidente Napolitano. Basta con gli interventi a salvaguardia di poche persone». Come se non bastasse, il pm del caso Abu Omar e di numerosissime altre inchieste, rincara la dose: «Il problema non è dei rapporti in generale fra politica e magistratura, ma fra una parte della politica e la magistratura». Insomma, il tasto dolente è la maggioranza di centrodestra e il suo leader. Infine passando a parlare dei suoi fascicoli, ricorda «gli ostacoli giuridici», posti da Prodi e Berlusconi attraverso il segreto di Stato.
Spataro non è un pm isolato. Gode di grande popolarità fra i colleghi, è considerato uno dei magistrati più autorevoli a Milano, è fra gli animatori dei Movimenti riuniti, la corrente di sinistra gemella di Magistratura democratica, anche se talvolta meno ortodossa.
Le esternazioni di Spataro vengono dopo quelle, tambureggianti, di Antonio Ingroia che, invece, appartiene a Magistratura democratica. Anche Ingroia maneggia i fili di inchieste delicatissime, esplosive, sul confine infiammato fra politica e mafia. È stato Ingroia a rappresentare l’accusa al processo contro Marcello Dell’Utri, è stato lui a ricevere, poche settimane fa, l’ormai mitico papello da Ciancimino junior, lui a scavare sui cosiddetti mandanti esterni alle stragi del ’92-93. Proprio il ruolo così esposto e delicato consiglierebbe prudenza e un raffreddamento dei toni, ma l’altra sera Ingroia era ospite di Michele Santoro. «Che cosa ha fatto Kohl in Germania quando è stato indagato?», si è chiesto retoricamente il magistrato. Scontata la risposta: «Si è dimesso». E così il pm che esplora, fra le altre cose, i rapporti fra Cosa nostra e il PdL, ha offerto la soluzione dei suoi problemi a Silvio Berlusconi: vada a casa. Non sentiremo più parlare di lui. Il clima si rasserenerà. Esattamente lo stesso sentiero su cui a suo tempo fu instradato dai pm di Palermo Giulio Andreotti, sette volte presidente del Consiglio prima di essere sommerso da accuse spaventose. Poi, dopo dieci anni e più, Andreotti è stato assolto (sia pure con la macchia della prescrizione per i vecchi rapporti con Cosa nostra), ma ormai era fatta.
Sono in qualche modo speculari, anche se diversissimi fra loro, Spataro e Ingroia. Perché tengono alta, per così dire, la tradizione milanese e quella palermitana. Milano e Palermo compongono la grande tenaglia che dai tempi di Borrelli e Caselli ha chiuso l’Italia in una morsa. Tutte le grandi inchieste che hanno decapitato la Prima Repubblica e messo a rischio la Seconda sono nate in queste due città. A Milano vanno avanti, quasi in automatico, gli ultimi processi al Cavaliere: quello sui diritti tv e l’altro sulle presunte mazzette all’avvocato Mills. Da Palermo potrebbe partire, secondo molte indiscrezioni, la prossima campagna anti premier, nata dalle rivelazioni di alcuni pentiti.
È un po’ un gioco delle parti, ai due cantoni della penisola. E ogni volta ci si chiede dove cominci l’opinionista e dove finisca il pm. Le requisitorie iniziano in tribunale ma tracimano su libri, riviste, giornali. Ingroia ha trovato il tempo per partecipare, sia pure brevemente, al forum di lancio del quotidiano giustizialista Il Fatto, del duo Padellaro-Travaglio. Il pm ha appena scritto un pamphlet tosto e graffiante, C’era una volta l’intercettazione, un dito puntato contro il governo già dal titolo. E sempre lui ha utilizzato il palcoscenico di un paio di congressi, promossi guardacaso da Magistratura democratica e dall’ex pm e oggi uomo di punta dell’Italia dei valori Luigi De Magistris, per ammonire il Paese con toni vagamente apocalittici: «Noi oggi siamo in mano ad interessi privati che si sono impossessati della politica». Ne è nato un pandemonio, soffocato solo dalla polemica successiva: l’esternazione del pm-vetrina ad Annozero.
Siamo, fatti i debiti distinguo, sulla stessa lunghezza d’onda di Spataro e dei pm di rito ambrosiano. A Milano il giudice Raimondo Mesiano, quello della sentenza sul Lodo Mondadori e del calzino turchese, è diventato l’icona della lotta a Berlusconi. Sempre sotto la Madonnina un altro pm, Fabio De Pasquale, superstite della stagione lontana di Mani pulite, giusto una settimana fa ha dettato l’agenda al premier: «Può venire in aula al mattino e poi partecipare al vertice Fao a Roma».
Ora è Spataro a prendersi i titoli. Meglio fare, gli chiede l’Annunziata, una legge ad personam che sia chiara, come chiede Pier Ferdinando Casini, oppure il cosiddetto processo breve? «Non ho dubbi - è la replica tranchant - non sarebbe bene fare né l’uno né l’altro». Nel PdL le parole di Spataro provocano un’epidemia di mal di pancia. Ma il partito dei pm va avanti. Arrivederci alla prossima esternazione. (Il Giornale)
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Il Ddl sulla riforma della giustizia? Per Spataro è inutile e sembra ispirato da «logica aziendale» in alcuni suoi punti. Apriti cielo. La destra protesta, la sinistra e Di Pietro attaccano, perché Spataro e Ingroia, già critico anche lui, non vanno toccati: loro possono esprimere un'opinione, ma nessuno deve permettersi di ribattere. A questo punto è arrivata, oggi, la discussione sul problema giustizia. Per Maurizio Gasparri «Spataro, dopo le performance di Ingroia, rende ancora più intensa la campagna televisiva a base di menzogne della sinistra giudiziaria».
Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha spiegato che l'unica cosa che condivide di quanto detto ieri dal procuratore aggiunto Armando Spataro, nella trasmissione televisiva In mezz'ora, è che, nella riforma della giustizia, sia contenuta una «logica aziendale». «È l'unica cosa che condivido - ha spiegato Alfano a un convegno all'università Bocconi di Milano -. Quando il pm Spataro accusa il governo di essere animato ed assistito da logiche aziendali, io lo rivendico con orgoglio». «Il senso quasi negativo, di disprezzo - ha proseguito - con cui è stata usata la parola aziendale rende ragione di come certuni vivano l'efficienza del sistema giustizia». Secondo Alfano, «la giustizia italiana dovrebbe andare bene come un'azienda che funziona perché dovrebbe dare un utile e cioè rendere giustizia rapidamente ai cittadini». «Evidentemente - ha concluso - nessuno tra quelli che, con un'ostilità preconcetta, ci attacca, si rende conto che, se la giustizia italiana fosse valutata secondo canoni aziendali, sarebbe sull'orlo del fallimento».
«Quello che è accaduto ieri sulle reti del servizio pubblico radiotelevisivo sarebbe letteralmente inimmaginabile in qualunque altro Paese dell'Occidente avanzato», ha detto oggi Daniele Capezzone, portavoce del PdL, a proposito dell'intervento del giudice Spataro alla trasmissione «In 1/2 ora». «L'idea che un magistrato si permetta di stabilire cosa Governo, Parlamento, maggioranza e opposizione possano, non possano, debbano o non debbano fare, è semplicemente lunare. E l'aspetto più inquietante - conclude - è che la sinistra, accecata dall'odio antiberlusconiano, non sembrai neppure capace di porsi il problema».
«Accusare e criminalizzare persone come Spataro e Ingroia è un delitto di Stato, perchè vuol dire non conoscere la storia personale di queste persone. Quando la gente andava in giro con i calzoni corti, Spataro combatteva il terrorismo, Ingroia combatteva la mafia». Così dice il presidente dell'Idv, Antonio Di Pietro, durante la presentazione delle linee programmatiche dell'Italia dei valori per le elezioni regionali del Lazio 2010. «Criminalizzare loro soltanto perchè dicono: guardate che con queste leggi che state facendo ci togliete ogni possibilità di combattere la criminalità vuole dire essere favoreggiatori di criminali», ha aggiunto Di Pietro. «Perchè soltanto dei criminali possono combattere la criminalità togliendo le armi a coloro che la combattono - ha concluso il presidente dell'Idv - È come togliere il bisturi a un chirurgo. Non so se a un certo punto chi attacca Spataro sono solo i delinquenti o anche i cretini».
Dopo l'intervista al procuratore aggiunto di Milano Armando Spataro, il senatore del gruppo PdL, Alessio Butti, capogruppo nella Commissione parlamentare di Vigilanza sulla Rai, ritiene ancora «più forte l'esigenza di disciplinare le trasmissioni senza contraddittorio». «È inconcepibile, infatti, ascoltare in un programma che fa servizio pubblico, mezz'ora di monologo infarcito di accuse sferzanti e false senza nessuna possibilità di replica. Perciò chiederò personalmente al presidente Zavoli di affrontare quanto prima nella Commissione parlamentare di Vigilanza sulla Rai questo argomento, che ormai è improcrastinabile». (Libero)

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